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Alla Dinamo manca ancora il killer instinct

di Andrea Sini
Dyshawn Pierre e Will Hatcher
Dyshawn Pierre e Will Hatcher

Basket, il secondo ko di fila all’overtime lascia l’amaro in bocca a un gruppo solido ma che ha qualche problema

04 gennaio 2018
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SASSARI. Balla coi lupi dopo avere ballato in gondola sulla Laguna, combatte sino all’ultimo ma alla fine non raccoglie nulla. Tempo di overtime amari per la Dinamo, che nel giro di una settimana scivoladue volte a un tanto così dal traguardo, facendo il pieno di complimenti e recriminazioni. Come Venezia, anche Avellino fa festa dopo 45’ di battaglia ad armi pari, complicando la corsa dei sassaresi verso la Final Eight.

Le grandi certezze. La notizia più interessante, a medio termine, è che la squadra di Federico Pasquini si è dimostrata in grado di tenere testa alle due realtà più attrezzate della serie A (Milano a parte, ovviamente), e lo ha fatto senza esprimere il meglio del proprio basket. Contro gli irpini di coach Sacripanti, in particolare, il Banco di Sardegna è rimasto sempre in partita nonostante alcuni fattori negativi oggettivi: una settimana particolarmente difficile (mai un allenamento al completo, a turno si sono fermati Jones, Pierre, Spissu e Hatcher), un’orribile serata al tiro da fuori (6/29 da 3, con uno 0/11 da suicidio negli ultimi 15’ di gioco) e alcuni errori dei singoli nei minuti decisivi che sono stati pagati a caro prezzo: per esempio il sottomano sbagliato in contropiede da Pierre, la palla persa banalmente da Hatcher sulla rimessa dopo un canestro subito, qualche appoggio facile da sotto mandato sul ferro. Anche le cifre scagionano i sassaresi, solidi a rimbalzo (40-41), discretamente ordinati (+1 nel saldo palle perse/recuperate, Avellino ha finito con -15) e produttivi nel gioco di squadra (il conto degli assist dice 14-11). Tanto che alla fine del tempo regolamentare e prima del crollo nell’overtime, la valutazione di squadra era nettamente a favore dei biancoblù, 92-78. Senza stare a misurare il livello di liquido presente nel bicchiere, insomma, i motivi per essere ottimisti ci sono, eccome.

La Bamforth-dipendenza. Il fatto che quest’anno la Dinamo non sia stata al completo e in piena salute quasi mai non è una scusa ma un puro dato di cronaca. Al di là di questo, però, il processo di crescita complessiva va a cozzare con problemi di diverso tipo. Per esempio l’eccessiva dipendenza dalla stella Scott Bamforth. Al quale, oltre al talento, non fa certo difetto la generosità: costretto quasi sempre a portare palla (Hatcher da questo punto di vista è assai meno affidabile), l’ex Bilbao è spesso costretto a lavorare al limite per evitare raddoppi e trappole degli avversari e quando il minutaggio cresce all’eccesso (spesso oltre i 30’), nel finale il suo killer instinct evapora completamente: come a Venezia, anche contro Avellino Bamforth negli ultimi possessi ha fallito triple aperte fondamentali e non ha avuto più le gambe per attaccare il ferro alla sua maniera.

Pile scariche. Il problema di una gestione oculata del minutaggio, sempre nell’ottica del doppio impegno campionato-coppa, va costantemente tenuto presente anche per quanto riguarda altri due giocatori che pagano spesso dazio a livello fisico-atletico: Polonara, unico “quattro” di ruolo, e Hatcher, che va per i 34 anni e si sta dimostrando una buonissima guardia ma anche il meno efficace nel ruolo di play del quartetto di piccoli. A proposito, l’assenza di Stipcevic, che ne avrà per almeno un mese, sta privando la squadra proprio di playmaking, oltre che di personalità nella gestione dei momenti caldi. Per fortuna Spissu c’è.

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