Addio a Luciana Sari, cantante e paladina della lingua algherese
ALGHERO. «Il catalano è vietato? Io sono italiana, di Alghero, questa è la mia lingua, la parlo e la canto, nessuno può proibirmelo». Luciana Sari, insegnante e cantante, algherese, ieri è stata...
30 novembre 2019
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ALGHERO. «Il catalano è vietato? Io sono italiana, di Alghero, questa è la mia lingua, la parlo e la canto, nessuno può proibirmelo». Luciana Sari, insegnante e cantante, algherese, ieri è stata ricordata così. In occasione dell’ultimo saluto che in tanti le hanno rivolto nella chiesa della Mercede, quelle sue parole di sfida ai veti franchisti nella Barcellona del 1962 hanno rianimato il ricordo di una donna forte e libera.
La cantante è deceduta due giorni fa. Ma lascia un’eredità morale e culturale straordinaria. Proprio come quando si esibì in Spagna in piena dittatura franchista, cantando in algherese e commuovendo Barcellona, cui all’epoca era vietato parlare catalano in pubblico. Del divieto lei si disinteressò, senza rinunciare a cantare nella sua lingua per non rinunciare a sé stessa. E quando intonò “Lo paìs meu”, omaggio tradizionale all’Alguer, quelle parole e quella melodia commossero la platea, che ne fece un inno di libertà. Con parenti e amici intimi, ieri hanno voluto renderle omaggio in tanti. Figura di spicco del panorama culturale cittadino e sardo, alla sua biografia quattro anni fa era stato dedicato il primo lungometraggio in algherese, il documentario “Lo dia que el peixos han escomençat a pescar – Il giorno che i pesci iniziarono a pescare”, girato e prodotto da Giovanni Collu. «Oggi con lei se ne va un pezzetto di Alghero, un pezzetto di Catalunya, un pezzetto di cuore», ha detto la nipote Daniela Sari, che nel 2012 la accompagnò insieme agli altri parenti nel suo nuovo viaggio a Barcellona, quando la sua prima casa discografica decise di rieditare i suoi successi e partecipò alla presentazione del disco. «Sempre pronta alla battuta, intelligente, brillante, per lei tutto era straordinariamente normale». (g.m.s.)
La cantante è deceduta due giorni fa. Ma lascia un’eredità morale e culturale straordinaria. Proprio come quando si esibì in Spagna in piena dittatura franchista, cantando in algherese e commuovendo Barcellona, cui all’epoca era vietato parlare catalano in pubblico. Del divieto lei si disinteressò, senza rinunciare a cantare nella sua lingua per non rinunciare a sé stessa. E quando intonò “Lo paìs meu”, omaggio tradizionale all’Alguer, quelle parole e quella melodia commossero la platea, che ne fece un inno di libertà. Con parenti e amici intimi, ieri hanno voluto renderle omaggio in tanti. Figura di spicco del panorama culturale cittadino e sardo, alla sua biografia quattro anni fa era stato dedicato il primo lungometraggio in algherese, il documentario “Lo dia que el peixos han escomençat a pescar – Il giorno che i pesci iniziarono a pescare”, girato e prodotto da Giovanni Collu. «Oggi con lei se ne va un pezzetto di Alghero, un pezzetto di Catalunya, un pezzetto di cuore», ha detto la nipote Daniela Sari, che nel 2012 la accompagnò insieme agli altri parenti nel suo nuovo viaggio a Barcellona, quando la sua prima casa discografica decise di rieditare i suoi successi e partecipò alla presentazione del disco. «Sempre pronta alla battuta, intelligente, brillante, per lei tutto era straordinariamente normale». (g.m.s.)