La Nuova Sardegna

Alghero

A un anno dall’omicidio Alghero prega per Michela

di Nadia Cossu
A un anno dall’omicidio Alghero prega per Michela

Ieri una messa a Sant’Agostino. La mamma da Genova: «Sono lì con il cuore»

24 dicembre 2019
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ALGHERO. «Non sono con voi con la mia presenza fisica ma ci sono con il cuore di mamma e ringrazio tutti per quello che avete fatto e fate per noi». Sono le parole che Giuseppina Grasso, da Genova, rivolge agli algheresi a un anno esatto dalla morte di sua figlia Michela Fiori.

Perché Alghero ieri ha ricordato Michela. Lo ha fatto in una messa celebrata nella parrocchia a due passi dalla casa di via Vittorio Veneto dove il 23 dicembre di un anno fa la donna è stata uccisa dall’ex marito Marcello Tilloca. L’allora sindaco Mario Bruno era stato il protagonista di un’iniziativa unica in Italia: l’adozione dei due figli di Michela, rimasti da un giorno all’altro orfani di madre e di padre (Tilloca, reo confesso, era stato arrestato il giorno stesso dell’omicidio). Una mobilitazione senza precedenti che, con Bruno in prima fila, è diventata un modello da imitare.

Una silenziosa preghiera ha riunito nel pomeriggio tantissime persone che nella chiesa di Sant’Agostino hanno voluto rendere omaggio a Michela, uccisa proprio dall’uomo che avrebbe dovuto proteggerla. Un marito dal quale si stava separando ma che era pur sempre il padre dei suoi figli e il compagno di una vita. Marcello Tilloca, condannato lo scorso ottobre a trent’anni di carcere con il rito abbreviato, ha confessato l’omicidio raccontando come e perché ha strangolato l’ex moglie. Prima stringendole il collo con le mani e poi aiutandosi con un laccio finché lei non ha smesso di respirare. Il racconto lucido di un proposito omicida che era diventato «una vera e propria ossessione – ha scritto il giudice Michele Contini nelle motivazioni della sentenza – L’imputato ha atteso soltanto l’occasione scatenante». Che, nel caso specifico, era stata questa: la sera prima del delitto, Michela – che già da tempo non viveva più con il marito – rientrò tardi a casa. Tilloca, il 23 dicembre, le chiese spiegazioni su come e con chi avesse trascorso la serata precedente ma evidentemente la risposta non lo aveva soddisfatto. Ed è stato lui stesso, nella confessione, a dirlo. «Io mi sono arrabbiato e ho preso un coltello dalla cucina per minacciarla e per farmi dire dove fosse stata e se avesse una relazione con un’altra persona. Al momento non volevo farle male ma solo spaventarla e avere una risposta...». Poi però la rabbia ha preso il sopravvento su tutto e Marcello Tilloca l’ha ammazzata senza pietà.

Durante questi mesi di carcere e di preparazione al processo, ha cambiato cinque avvocati. L’ultimo, Pietro Diaz, ha lasciato l’incarico di recente. E ieri, proprio a un anno esatto dall’omicidio, il nuovo legale difensore Maurizio Serra è andato in carcere a Bancali. «Avvocato, sa che giorno è oggi? – gli ha detto Tilloca – È 23 dicembre e un anno fa è successo tutto». Trecentosessantacinque giorni che hanno cambiato la vita a molte persone. Ai familiari più stretti di Michela, agli amici più cari, e persino a lui, l’ex marito. «Ho perso tutto – è stato lo sfogo con il nuovo legale – Non mi è rimasto più nulla, non ho più una moglie, non ho più i miei figli». Maurizio Serra ha parlato a lungo con lui: «Ho deciso di accettare l’incarico e preparerò l’appello per impugnare la sentenza di condanna. Ho avuto l’impressione che finalmente Tilloca abbia cominciato un percorso di consapevolezza. E credo che quanto accaduto a livello giudiziario gli sia servito». Fino al giorno della sentenza, in realtà, l’uomo non ha mai mostrato segni di pentimento e anzi ha cercato di alleggerire il peso della coscienza addebitando a Michela colpe assurde. «Credo però che non debba essere abbandonato – aggiunge Serra – il trattamento carcerario a volte può produrre effetti inaspettati proprio nelle persone peggiori. Migliorandole e aiutandole a capire i loro errori».

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