La Nuova Sardegna

Cagliari

"La Fluorsid ordinava e io sotterravo i rifiuti"

Mauro Lissia
"La Fluorsid ordinava e io sotterravo i rifiuti"

L'inchiesta per disastro ambientale: uno degli operai interrogati dal pm ha spiegato come avveniva lo smaltimento spiegando che ubbidiva senza batter ciglio perché non voleva perdere lo stipendio

20 maggio 2017
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CAGLIARI. Le direttive sullo smaltimento del gesso e degli altri residui di lavorazione del fluoro arrivavano dalla Fluorsid e non soltanto dalla ditta Ineco che aveva in appalto il servizio. È stato il capo operaio Marcello Pitzalis a rivelarlo nel corso del faccia a faccia sostenuto al carcere di Uta con il pm Marco Cocco, titolare dell’inchiesta per associazione a delinquere in inquinamento e disastro ambientale che ha portato martedì scorso all’arresto di sette persone, di cui due in custodia domiciliare.

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Attraverso il difensore Gigi Sanna l’indagato aveva annunciato fin dall’altro ieri la propria disponibilità a riferire quanto ha fatto e visto nei dodici mesi in cui ha lavorato per l’Ineco del patron Armando Bollani e nelle quattro ore e mezzo di colloquio con il magistrato ha confermato punto per punto gli elementi raccolti dal Corpo Forestale nei due anni d’indagine.

Il trasporto. Pitzalis è stato categorico: il suo compito e quello della sua squadra di operai era di trasportare il materiale dallo stabilimento di Macchiareddu alla discarica di Terrasini, dove veniva stoccato e successivamente spedito via mare agli acquirenti. Se durante il lavoro sorgevano difficoltà o emergevano perplessità su come operare, l’ordine era preciso: «Dovevo telefonare ad Alessio Farci - ha spiegato Pitzalis al magistrato - ed era lui come responsabile della produzione Fluorsid a darmi le indicazioni necessarie. Se poi non aveva immediatamente la risposta, chiamava qualcun altro, ma non so chi». In altre parole: le disposizioni di servizio arrivavano dall’alto e Pitzalis - l’ha detto e ripetuto - non poteva che eseguire senza batter ciglio.

Lo stipendio. Il rischio, in caso di rifiuto, sarebbe stato la perdita di un lavoro conquistato da appena dodici mesi: «Che cosa potevo fare? - ha detto l’operaio al pm Cocco - lo stipendio mi serve per mandare avanti la famiglia». Quindi zero discussioni, Pitzalis faceva quello che gli dicevano di fare. Comprese le operazioni peggiori, come movimentare i cumuli di gesso senza alcun sistema di abbattimento: «La polvere volava dappertutto - ha riferito - non avevamo nulla per fermarla, bastava una folata di vento e si formava una nube». Il capo operaio ha fatto qualche esempio: «Bastava che passasse un’automobile e immediatamente si sollevava polvere, il vento faceva il resto».

Buche nel gesso. Ci sono anche alcuni episodi, raccontati da Pitzalis, sui quali sarà indispensabile indagare: «In alcune occasioni ho avuto l’ordine di scavare buche profonde nella collinetta di gesso e di buttarci dentro un materiale che arrivava dalla Fluorsid, non so che cosa fosse e non lo voglio sapere. Certo è che a me non dicevano di che cosa si trattasse, bisognava sotterrare e basta». Non solo: al di sotto dei cumuli di gesso c’era di tutto, pneumatici, detriti, frammenti di cemento, resti di materiale da costruzione. Quando vennero dissepolti però - ha riferito Pitzalis - fu una ditta esterna a caricarli su un autocarro per trasportarli a una discarica autorizzata.

Le intercettazioni. Chiamato a spiegare nei minimi dettagli il senso delle conversazioni intercettate, l’operaio non si è tirato indietro. Dai dialoghi emergono anche le sue perplessità, le richieste di spiegazioni, secondo il difensore emerge soprattutto la condizione di subalternità che costringeva Pitzalis a eseguire sempre le disposizioni dell’azienda anche quando non gli piacevano.

 

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