Il sindacato Cgil rilancia: nuove idee per il territorio
Macomer, lotta alle grandi diseconomie per avvantaggiare le imprese Jose Mattana chiede l’unità per riuscire a ottenere risultati compatibili
MACOMER. Il rilancio economico e occupazionale di Macomer e del territorio è possibile solo con una nuova fase di industrializzazione, ma per avviarla servono agevolazioni per le imprese, a partire dalla fiscalità di vantaggio, indispensabili per abbattere le diseconomie alle quali vanno incontro le aziende del centro Sardegna e invogliare gli imprenditori a investire. L’idea parte della Cgil, che un anno fa’ organizzò un incontro a Macomer su questi temi. La rilancia Jose Mattana, della segreteria dei tessili, il quale pone però l’esigenza di mettere in campo la rivendicazione con un fronte unito del territorio. Il sindacalista è certo che si vedranno dei risultati solo se il territorio di muoverà in modo unitario. «Non chiediamo la luna – dice –, chiediamo le stesse cose che ha avuto il Sulcis. Qui senza agevolazioni non viene nessuno. C’è un imprenditore che ha acquistato le macchine della Legler Siniscola. Potrebbe farle ripartire, ma non lo fa perché non viene agevolato e indotto a farlo. Potrebbe interessarsi anche al calzificio Queen, il cui stabilimento è nuovo e dispone di macchine recenti, ma senza agevolazioni che in termini di competitività mettano la produzione di questo territorio alla pari di tutti gli altri territori italiani ed europei, non ha nessuna convenienza a investire perché finirebbe per rimetterci l’investimento».
Per la Cgil esistono i presupposti per rilanciare il manifatturiero a Macomer e nel Marghine. Il settore ha alimentato lo sviluppo industriale del territorio dagli anni Settanta fino alla grande crisi che ha chiuso tutto. «Senza il manifatturiero – dice Jose Mattana – non si va avanti. In Italia il tessile si va riprendendo. È una ripresa lenta, ma c’è. Una parte delle macchine Legler sono ancora nello stabilimento. Riprendere a produrre non mi sembra impossibile. Non saranno certo i volumi di produzione del passato. Si parte con poco per crescere, ma bisogna comunque partire. È evidente che da solo l’imprenditore non è in grado di farsi carico di tutto, compresi i maggiori costi legati alle diseconomie che metterebbero da subito la produzione fuori mercato. Prima c’erano i bandi Pia che finanziavano fino al 35% i costi sostenuti per riavviare la produzione e i fondi Frai della Regione per la reindustrializzazione delle aree industriali che finanziavano l’acquisto dei capannoni. Ora non c’è più nulla. Chi fa impresa deve pagarsi tutto, compresi i costi di una burocrazia allucinante che schiaccia l’impresa e quelli che derivano dalle diseconomie alle quali va incontro chi decide di produrre in questo territorio».
Il sindacalista chiede per questo territorio le stesse condizioni del Sulcis. Non crede che uno strumento come l’accordo per l’area di crisi di Tossilo sia utile e possa produrre qualcosa. «I risultati li abbiamo visti – dice –, le imprese non sono partite, eppure erano imprenditori locali. Serve altro. Noi chiediamo che si creino le stesse condizioni di vantaggio del Sulcis. L’accordo di Tossilo serve a poco. Nel Sulcis sono stati messi in campo 560 milioni di euro. Abbiamo la manodopera specializzata che soprattutto nel tessile non si inventa da un momento all’altro. A dicembre scade la mobilità. Credo sia giunto il momento di muovere le acque prima che sia troppo tardi».