Vallanzasca chiede al tribunale di Nuoro: "Scarceratemi"
L'ex boss della Comasina: "L'ergastolo è disumano, rideterminate la mia pena"
NUORO. Un anno fa era finito di nuovo nei guai per il furto di due paia di mutande in un market di Milano. Renato Vallanzasca, che dall’autunno del 2013 stava assaporando il piacere del regime di semi-libertà, si era difeso affermando di essere stato vittima di un complotto legato ad alcune sue rivelazioni nell’inchiesta sulla morte di Marco Pantani. Ma i giudici non avevano sentito ragioni e per lui era arrivata una condanna a dieci mesi e la revoca immediata del beneficio della semi-libertà. Ma adesso l’ex componente di spicco della mala milanese degli anni ’70 e ’80 ci riprova. E si rivolge al tribunale di Nuoro che lo aveva giudicato tanti anni fa per ottenere una rideterminazione della pena che alla fine avrebbe un effetto immediato: la sua scarcerazione. La richiesta. Vallanzasca, attualmente detenuto a Opera (Milano), punta alla conquista della libertà che ritiene di essersi riguadagnato, visto che ritiene la pena dell’ergastolo del tutto illegittima alla luce di alcune sentenza della Corte europea dei diritti umani.
«Per conto del condannato Renato Vallanzasca – scrive il suo avvocato, Gianluca Pammolli, del foro di Roma – si chiede la rideterminazione del titolo esecutivo penale con valutazione e conteggio del presofferto totale dell’intera carcerazione del condannato, e la liberazione anticipata ed eventuali condono e amnistie». Pena disumana. Citando una sentenza della Corte Europea del 9 luglio 2013, l’avvocato di Vallanzasca riferisce di una vicenda giudiziaria nella quale i giudici di Strasburgo avevano stabilito che si debba «rivalutare e favorire in ogni caso la rieducazione del reo nei casi di pena perpetua definitiva la quale viene considerata assolutamente disumana e degradante, e quindi violatrice dell’articolo 3 della Convenzione europea di Strasburgo».
«Nel caso presente – scrive il legale – si osserva che le pene dell’ergastolo inflitte al reo sono antecedenti al 1982 e quindi il condannato non ha potuto beneficiare di alcuna misura premiale, né di scelta del rito processuale. Inoltre il reo ha sofferto ben oltre tre anni di isolamente diurno, pena suppletiva che oggi non avrebbe mai potuto patire secondo le nuove norme sulla scelta del rito processuale. Quindi non ha potuto beneficiare del rito abbreviato che gli avrebbe evitato la condanna all’ergastolo». I calcoli. Il legale ha già fatto i conti: «La pena va fissata a un massimo di 30 anni di reclusione, da cui detrarre il presofferto che oggi supera i 44 anni, e che quindi determina una immediata scarcerazione del condannato». Ieri la posizione di Vallanzasca è stata sostenuta in aula dall’avvocato Paolo Carta, nuorese del foro di Tempio. Il legale ha chiesto al giudice in via principale l’accoglimento della richiesta di Vallanzasca, la scarcerazione. E in via subordinata di «sollevare una questione di legittimità costituzionale per l’articolo 22 del codice penale». È l’articolo che prevede l’ergastolo. Il giudice deciderà nei prossimi giorni.