La Nuova Sardegna

Nuoro

Sani e salvi dopo una notte in grotta

di Kety Sanna
Sani e salvi dopo una notte in grotta

Sette speleologi erano entrati a Ispinigoli venerdì mattina per uscire il pomeriggio. Ma uno dei sifoni era pieno d’acqua

09 gennaio 2022
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INVIATA A DORGALI. Sarebbe dovuta essere un’uscita in totale relax ma la mappa che avevano li ha “ingannati”, rivelandosi incompleta. Non avevano previsto un percorso subacqueo, bensì una passeggiata in grotta che di tecnico aveva solo l’ingresso, con un pozzo di 60 metri che, una volta superato, avrebbe dovuto regalare loro un tragitto tranquillo, di una bellezza mozzafiato. Si è conclusa poco dopo le 11 di ieri la disavventura di sette speleologi del Cai, cinque di Cagliari e due di Como, che nella mattinata di venerdì erano entrati nella grotta di Ispinigoli, a Dorgali, rimanendo bloccati durante la perlustrazione. Non vedendoli uscire nel pomeriggio, secondo l’orario previsto, gli amici rimasti all’esterno hanno allertato i soccorsi. I tecnici specializzati del Soccorso alpino si sono mossi immediatamente per organizzare le operazioni di recupero. Lo spiazzo davanti alla chiesetta di San Giovanni, punto in cui il gruppo sarebbe dovuto uscire se la grotta non fosse stata allagata, si è trasformata in un campo base, con tendoni e mezzi dei soccorritori che hanno lavorato per tutta la notte all’interno del complesso carsico di Ispinigoli – San Giovanni – Su Anzu e Sos Jocos, cavità naturali comunicanti tra loro per una lunghezza di 18 chilometri. Le squadre speleosub del Soccorso alpino, solo intorno alle 2,30 del mattino hanno individuato il gruppo di esploratori a metà percorso.

Erano infreddoliti e affaticati, ma stavano bene. I sette avevano trovato riparo nella parte alta di un sifone di quasi 15 metri, colmo d’acqua che non hanno potuto attraversare perché non attrezzati. Non potendo tornare indietro hanno proseguito dritti e hanno cercato riparo, fino all’arrivo dei soccorsi.

Una volta individuati, i sette speleologi, sono stati condotti in un altro punto della grotta, dove ad attenderli c’era un altro gruppo di soccorritori che li ha imbragati e portati fuori dalla cavità di Sos Jocos. L’attività di recupero è andata avanti fino alla tarda mattinata di ieri. L’uscita dalla grotta è stata per tutti una liberazione. All’esterno vigili del fuoco, carabinieri, l’ambulanza del 118 e il resto del gruppo Cai che ha tenuto il fiato sospeso per tutto il tempo.

Due delle componenti della comitiva hanno accettato di raccontare l’esperienza. «È andata bene, è finita – ha detto più volte Maria Antonietta, cagliaritana, tra le prime ad aver rivisto la luce del sole –. È iniziata che avevamo una mappa e pensavamo di dover fare un ramo senza acqua. Invece ci siamo trovati a dover affrontare un tratto sommerso, dove non si toccava. Dover nuotare senza muta è stato difficilissimo. Avevamo pensato che fosse un laghetto per poi riprendere senza problemi. Inoltre – ha raccontato la speleologa – non potevamo tornare indietro perché avevamo ritirato le corde. Abbiamo trovato riparo e ci siamo spogliati: avevamo teli termici e, per fortuna, nel bidone stagno avevo una maglietta e una calzamaglia che mi hanno dato sollievo. Abbiamo diviso le cose che avevamo, delle barrette da mangiare, e le candele per riscaldarci. Siamo stati vicini e abbiamo atteso l’arrivo dei soccorsi». Un percorso mai fatto prima, non acquatico, perciò senza muta. Un percorso per esperti, ma non tecnico per il gruppo di esploratori che venerdì mattina aveva programmato una passeggiata tranquilla in grotta, dalla quale aveva pensato di uscire al massimo alle 18. «La mappa – ha aggiunto – non ci ha mostrato neppure l’ingresso da dove sono arrivati i soccorritori. Se l’avessimo visto, saremmo potuti uscire da lì. Se non fosse stato allagato sarebbe stato un percorso bellissimo, ma il problema è che c’era molta acqua».

Dopo una notte al freddo della grotta sono bastati i sorrisi e gli abbracci all’uscita dalla grotta a far ritornare il buon umore agli speleologi che, nonostante tutto, non hanno mai avuto paura, né perso la lucidità.

«Abbiamo trovato un sifone che non ci aspettavamo – ha raccontato ancora Angela, anche lei di Cagliari – non era segnalato nei nostri rilievi. Non era prevista acqua, ma un tratto della galleria ne era pieno. Quando abbiamo capito che non potevamo andare oltre, abbiamo allestito un punto caldo all’altezza del sifone. Ci siamo messi in riva e abbiamo fatto una capanna. Avevamo tutto l’occorrente per il rifugio di emergenza, un di kit soccorso, teli termici, candele per scaldarci. Ci siamo messi vicini, con i teli sopra, e abbiamo aspettato. Eravamo certi che sarebbero venuti a cercarci».

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