Sequestri di persona: Cristina Berardi racconta il suo incubo
A Urzulei insieme a Riccardo Devoto, sfuggito ai rapitori nel 1975, l’insegnante nuorese parlerà per la prima volta di quei giorni terribili
Urzulei Due ex sequestrati ripercorreranno i giorni terribili della prigionia, dell’incubo vissuto nelle mani dei rapitori da loro stessi e da loro familiari. Succederà venerdì 7 novembre a Urzulei, nei locali parrocchiali: protagonisti saranno Cristina Berardi – che per la prima volta parlerà in pubblico del su sequestro – e Riccardo Devoto, che racconterà come sfuggì a un tentativo di sequestro. L’iniziativa delle parrocchie di San Giovanni Battista di Urzulei e Santa Marta di Talana parte dal libro “Prigioniero del mio nome. Cronistoria di un doppio sequestro di persona” scritto per le edizioni “Il Maestrale” da Riccardo Devoto con il giornalista Michele Tatti. Il dibattito sarà introdotto e coordinato dal parroco don Evangelista Tolu.
Cristina Berardi, insegnante nuorese, fu rapita il 20 giugno 1987 e liberata dopo 121 giorni, il successivo 19 ottobre, da una squadriglia della polizia nelle campagne di Talana.
Riccardo Devoto racconta le vicende umane e imprenditoriali, sue e della sua famiglia: protagonista della vita economica e civile di Nuoro per oltre un secolo, e purtroppo anche della fase più cruenta della lunga storia dei sequestri di persona a scopo di estorsione. Nel 2005 la società è costretta a modificare la propria ragione sociale per via della estenuante crisi seguita al rapimento dello zio di Riccardo, Gigino Devoto, nel 1985 prigioniero dei banditi per 203 giorni. Dopo una liberazione “costata” 800 milioni di lire, l’impresa di famiglia deve abbandonare le storiche attività di torrefazione del caffè e rinascere come azienda immobiliare. Ma il dramma dei rapimenti inizia prima per i Devoto nel 1975 quando proprio Riccardo, allora quindicenne, sfugge a un primo tentativo di sequestro; un episodio che segna la sua vita già resa difficile fin da piccolo dal terrore dei rapitori, che imprigionava i Devoto, reclusi in casa, con i bambini interdetti dal giocare all'aperto con i loro coetanei. “Prigioniero del mio nome” rievoca tragedie umane personali, familiari e aziendali, moltiplicate spesso dalle incertezze degli apparati statali e accompagnate da crisi alimentate dalle banche. La ricostruzione diviene anche riflessione delle ripercussioni economico-sociali sulla vita nella provincia di Nuoro, menomata da una costante fuga degli imprenditori.
