Ucciso col tubo dell’aspirapolvere, il fratello dell’omicida in aula: «Non voleva sfidarlo ma chiarire»
Fabio Malu è accusato della morte del compaesano Davide Unida
Luras «Mio fratello ha giurato sulla tomba di mia madre di non aver preso lui le chiavi della macchina di Davide Unida. Io ci ho creduto, per noi quello è un giuramento sacro. Dopo che ho saputo che cosa era accaduto tra loro in via Nazionale, sono andato a cercarlo insieme a due amici perché a casa sua non c’era, non riuscivamo a trovarlo. Alla fine abbiamo pensato di andare in cimitero e lui era lì, davanti alla tomba dei nostri genitori che piangeva: in una mano aveva l’ascia che aveva preso a Unida, nell’altra, il tubo dell’aspirapolvere con cui l’aveva colpito». A raccontare in Corte d’assise ciò che è accaduto prima e dopo l’aggressione costata la vita al 37enne di Luras, è stato Daniele Malu, fratello di Fabio Malu, 33 anni, accusato di aver ucciso il compaesano colpendolo cinque volte alla testa, alla spalla e al collo col tubo di un aspirapolvere. Tra i due c’erano fortissimi dissapori che andavano avanti da anni, con continue liti e denunce reciproche a partire dal 2013.
L’aggressione era avvenuta l’8 luglio del 2023 in via Nazionale, la via principale del paese. Unida era convinto che Malu gli avesse rubato le chiavi della macchina. Aveva cominciato a urlare per strada contro di lui (l’abitazione di Malu è poco distante). Le immagini della videosorveglianza del palazzo comunale, acquisite dagli inquirenti e viste in aula, riprendono Unida con un’ascia in mano, attrezzo che probabilmente aveva in macchina. Nell’inquadratura si vede anche Malu che si avvicina a lui per un istante e, poi, sparisce. Per poi ricomparire nell’inquadratura poco dopo, con un tubo dell’aspirapolvere in mano. Tubo che, secondo l’accusa era andato a prendere a casa sua, mentre secondo la difesa, era buttato in un cassonetto lì vicino. I due si affrontano. E mentre roteano su se stessi, Malu riesce a immobilizzare il braccio di Unida e gli sferra i colpi. Lui crolla a terra e Malu va via portandosi dietro l’ascia e il tubo metallico. Davide Unida era morto quattro giorni dopo all’ospedale di Sassari. «Mio fratello aveva il tubo in mano non per sfidarlo, ma per sentirsi più sicuro. Mi ha detto che voleva chiarire con lui, ma aveva paura. Un mese prima Unida aveva cercato di investirlo», ha detto Daniele Malu, rispondendo alle numerose domande del pubblico ministero Alessandro Bosco, dell’avvocato Giampaolo Murrighile che difende l’imputato, e del presidente della Corte, Massimo Zaniboni.
Sono stati sentiti anche due testimoni oculari che hanno assistito al momento della colluttazione. «Davide urlava in dialetto “ti uccido” contro Fabio, poi, si sono affrontati», hanno detto, riferendo ciò che avevano visto e spiegando di aver soccorso la vittima quando era crollata a terra e di aver chiamato il 118. «Quando si è ripreso, parlava, non voleva salire sull’ambulanza». Il 37enne si era infatti rifiutato di salire sull’ambulanza ed era andato a sedersi per qualche minuto vicino al bar. Poi, barcollando, si era diretto verso casa, in via Regina Margherita, dove si era accasciato, ferito in maniera gravissima. Era stato trasportato all’ospedale Santissima Annunziata di Sassari dove, il 12 luglio, quattro giorni dopo, era morto. Il processo proseguirà il 28 ottobre. Fabio Malu, agli arresti domiciliari, è accusato di omicidio volontario aggravato da futili motivi. I genitori della vittima e i tre fratelli si sono costituiti parte civile con l'avvocato Sergio Milia.