La Nuova Sardegna

L'Italia e l'economia: ora dobbiamo ripartire tutti insieme

di Vittorio Pelligra
L'Italia e l'economia: ora dobbiamo ripartire tutti insieme

05 luglio 2020
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Il “catastrofismo emancipatorio”, così lo definiva Ulrich Beck, è quell’idea secondo cui il bene può emergere, in alcuni casi, come effetto collaterale del male. Ritroviamo quest’idea, inaspettatamente, nelle pagine dell’ultimo Rapporto su “La situazione del Paese”, presentato dall’ISTAT venerdì. Oltre al tradizionale quadro sociale ed economico nazionale, il rapporto presenta una riflessione su alcuni problemi strutturali della società italiana.   

Riflessione sui problemi strutturali che, in una fase di ripartenza post-pandemia, da elementi di difficoltà potrebbero trasformarsi in opportunità per uscire prima e meglio dalla crisi. Il tema ambientale, quello demografico e quello legato al sistema dell’istruzione sono ambiti, secondo la lettura dell’ISTAT, «che meritano azioni e investimenti – sia pubblici sia privati - che a loro volta possono costituire una leva essenziale per il successo della ripartenza».

La riduzione della biodiversità, la rottura dell’equilibrio tra ecosistemi e la compromissione della qualità dell’aria, hanno facilitato, secondo molti, l’insorgenza dei fenomeni epidemici che continueranno ad intensificarsi nel futuro. Per quanto riguarda l’aspetto demografico, si nota, da una parte, che il 46% degli italiani desidera avere due figli e il 22% tre, ma dall’altra, che la pandemia e l’incertezza che essa ha generato, avrà ricadute negative sul tasso di fecondità nei prossimi anni. Si avrà, in questo modo, una ulteriore negazione del desiderio di maternità e paternità di coloro che pur desiderando un figlio non sperimentano le condizioni sociali ed economiche favorevoli a tale scelta. Il terzo elemento riguarda la questione dell’istruzione.

L’Italia e ancora più la Sardegna hanno affrontato questo shock partendo da una situazione di grande svantaggio rispetto al resto d’Europa: abbandono precoce degli studi, scarsi livelli di competenze alfabetiche e numeriche, bassa incidenza di laureati. Il ritardo cronico nell’investimento in conoscenza che sperimentiamo ormai da troppo tempo, avrà forti ricadute innanzitutto sulla capacità di ripresa economica. Una lettura attenta dei dati mostra che questi tre elementi, ambiente, natalità, conoscenza, sono tra loro strettamente interconnessi. Vediamo, infatti, come la consapevolezza dei problemi ambientali e la disponibilità ai cambiamenti necessari, aumenta con l’aumentare del titolo di studio.

Analogamente, da più parti, si sta mettendo in discussione una lettura semplicistica che vede la scelta di maternità essere inversamente correlata con il livello di istruzione. Sono gli strumenti di supporto messi a disposizione di donne e coppie che permettono una migliore conciliazione tra lavoro e cura dei figli, a fare la differenza, così come una più equa ripartizione dei carichi di cura all’interno delle coppie. Tutti elementi fortemente correlati con il livello di istruzione della popolazione. Considerando anche solo queste poche riflessioni non è difficile capire come la via più efficace per trasformare la crisi in opportunità, è quella dell’investimento in conoscenza.

Molto è stato fatto in questi anni sia per l’edilizia scolastica che per il contrasto alla dispersione. Occorre, però, ora un decisivo cambio di passo, non solo per quanto riguarda la quantità delle risorse da mobilitare, ma soprattutto per la natura degli interventi. Per uscire dalla trappola della povertà nella quale ci troviamo occorre un piano integrato che coinvolga tutte le forze attive della politica, dell’economia e della societ à.

La Regione e gli enti locali, le Università e i centri di ricerca, le istituzioni scolastiche, il sistema delle imprese, il mondo del volontariato e del terzo settore, la Chiesa e le famiglie, sono tutti chiamati ad un’assunzione di responsabilità; ad azioni concrete ed innovative, trasversali e multilivello, capaci di attivare processi sostenuti di accumulazione di capitale umano, che siano diffusi ed equi. È una responsabilità ineludibile, oggi più che mai, se vogliamo anche solo immaginare un futuro migliore per i nostri figli, per la nostra terra.

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