La Nuova Sardegna

Pranzo di Sardara: giusto punire chi ha sbagliato

Daniela Scano
Pranzo di Sardara: giusto punire chi ha sbagliato

Mentre si attende che la giustizia faccia il suo corso, l'effetto collaterale della scelta di 40 persone di violare la normativa contro la diffusione del Covid si rivela devastante

25 aprile 2021
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Posto di blocco. Un agente della Forestale chiede a una signora perché è uscita da casa. «Sto andando a una manifestazione di protesta _ si giustifica la donna _. Sono un’ambulante e, se continua così, io e la mia famiglia forse non moriremo di Covid ma patiremo la fame». L’agente obietta che lo spostamento non rientra tra le comprovate esigenze lavorative, di necessità e di salute autorizzate per gli spostamenti in “zona rossa”. «Ha ragione _ è la risposta _. In effetti sto andando a pranzo alle terme di Sardara». Multa evitata per esercizio di sarcasmo. Si può immaginare la frustrazione degli agenti della forestale quando la signora ha alluso al pranzo in piena zona arancione dove, per sua stessa ammissione, era presente il loro comandante Antonio Casula. Chissà la rabbia e il dispiacere provati da tanti uomini e donne in divisa per quella che è una umiliazione pubblica per tutto il Corpo forestale della Sardegna, che quelle regole violate dal capo deve fare rispettare.

L’episodio è solo un esempio, tra i tanti, del fastidio collettivo provocato dall’ormai celebre riunione di una quarantina di commensali che rappresentavano ciascuno una importante istituzione: sanitaria, amministrativa, militare, politica. La Finanza ha multato i partecipanti che è riuscita a identificare. Gli altri, come è noto, se la sono data a gambe dando prova di inaspettate doti atletiche. In attesa che l’inchiesta (senza indagati) della magistratura faccia il suo corso, cominciano ad arrivare le dimissioni e le scuse degli interessati. Nel frattempo la Regione ha fatto partire lettere di contestazione ai propri dipendenti presenti in quella occasione per presunto danno alla immagine e alla reputazione dell’ente a livello nazionale e internazionale. Viene così giustamente affrontato un effetto collaterale, forse il più grave, del “caso Sardara”: avere ferito con un comportamento sbagliato la reputazione e l’onore di chi si ha il dovere di rappresentare.

In effetti la commerciante che non riesce più a mettere insieme il pranzo con la cena ha qualche ragione in più degli “attovagliati di Sardara” per uscire di casa. È quindi comprensibile la sua reazione sprezzante all’idea di quella comitiva di potenti riuniti in ristorante. Questa però è solo una parte del danno di immagine, quella immediata della reazione popolare. Ce n’è un’altra che coinvolge chi nelle istituzioni lavora e che degli errori altrui subisce le conseguenze. Dimissioni, scuse e passi indietro sono arrivati ma non riparano il disastroso effetto mediatico. E quindi bene fanno la Regione e tutte le altre istituzioni mortificate da quel pranzo indigesto ad aprire, nei confronti dei propri dipendenti partecipanti, i provvedimenti disciplinari avviati con le lettere di contestazione. Provvedimenti che faranno il loro corso e le cui conclusioni saranno, forse, rese note nel tentativo di rimediare al danno all’immagine.

Quella del pranzo di Sardara è una storia che deve far riflettere al di là dei suoi risvolti penali (se ci saranno), disciplinari, politici. Chi rappresenta una istituzione dovrebbe essere il primo a dare il buon esempio, per sé stesso e per il ruolo che ricopre. Un comune cittadino quando sbaglia paga, ma se lo fa il rappresentante di una istituzione sbaglia due volte visto che fa passare il messaggio che c’è chi si può permettere di violare la legge. Se viene scoperto, l’interessato fa una figuraccia memorabile, ma l’istituzione subisce un danno devastante. Nel 61 avanti Cristo la moglie di Cesare doveva essere al di sopra di ogni sospetto, oggi troppi sedicenti potenti ritengono ancora di essere al di sopra della legge. C’è da dire che chi si è dimesso ha dimostrato più dignità di chi è riuscito (fino ad ora) a evitare le forche caudine saltando dalla finestra. Personaggi senza vergogna e senza coraggio. Forse tra qualche anno, quando l’incubo della pandemia sarà storia dolorosa ma ormai alle spalle, gli stessi dimissionari potranno sorridere ricordando lo scandalo di quaranta persone sorprese a mangiare in ristorante. Chi invece si è sottratto alle proprie responsabilità, fuggendo tra i cespugli di un hotel come un pericoloso criminale, continuerà a provare imbarazzo. Per lui (o lei) la zona rossa della vergogna non finirà.

Il danno di immagine ormai è fatto, ma non è irrimediabile. Non saranno gli invitati al pranzo a lenire la ferita ma l’esempio, il lavoro e l’impegno di tutte le persone che ogni giorno rappresentano una istituzione onorandola con il proprio comportamento corretto e rispettoso delle regole.

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