La Nuova Sardegna

La sanità del futuro parte dal territorio

EUGENIA TOGNOTTI
La sanità del futuro parte dal territorio

. Il Pnrr e l'insegnamento arrivato dalla pandemia

30 maggio 2021
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Passerà per un riordino della medicina del territorio, ormai da mesi al centro dell’agenda della politica, la sanità del futuro. E non potrebbe essere altrimenti. Non è necessario imbastire discorsi complicati o spendere troppe parole per richiamare tutte le magagne e le crepe che l’assistenza medica sul territorio ha rivelato durante la pandemia di Covid-19 . E non solo in Regioni “blasonate” come la Lombardia.  

Che sotto i colpi di maglio dell’emergenza, hanno visto crollare il loro primato di eccellenza in sanità, ma anche alla periferia dell’impero, come si è potuto verificare, senza andare troppo lontano, anche qui in Sardegna, sia pure in misura minore rispetto alle aree più colpite.

A pagare sulla loro pelle, nelle settimane cruciali dell’emergenza sanitaria, i cittadini. Un “positivo” al Covid su tre, che avrebbe potuto essere curato a domicilio, si è ritrovato solo, in preda all’ansia e alla paura e nella necessità di fare ciò che avrebbe potuto essere evitato – l’intasamento dei pronto soccorso – se i medici di famiglia fossero stati subito messi nella condizione di intervenire già dal domicilio del paziente, adeguatamente provvisti di dispositivi di protezione individuale. Ciò che avrebbe potuto evitare il ricovero ospedaliero, aggravando la già drammatica situazione dei nosocomi.

Nei territori, un quasi deserto sanitario, con i medici disarmati, senza piani terapeutici e scollegati dall’ospedale. Ciò che si annuncia ora, nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), articolato in “missioni’”, la sesta della quale riguarda la sanità, rappresenta nel concreto una solenne bocciatura di buona parte dei sistemi sanitari delle regioni italiane, incapaci di reggere l’ondata pandemica. Il nuovo assetto istituzionale e organizzativo prevede un modello di territorio basato sulle Case di Comunità ( 1 ogni 20000 ab. , da costruire (ex novo oppure adattando edifici già esistenti) che riuniranno in un’unica struttura di quartiere i medici di famiglia, gli specialisti, gli infermieri e gli assistenti sociali: offrirà assistenza dalle 8 alle 20. Saranno attrezzate di punto prelievi, macchinari diagnostici e infrastrutture informatiche. Il servizio notturno sarà garantito dalla guardia medica.

Con i fondi del Recovery Fund ne saranno aperte 1.288: la Sardegna ne avrà 35. Rappresenteranno una struttura intermedia tra le Case di Comunità e gli ospedali, gli Ospedali di comunità, dove si eseguiranno interventi a medio-bassa intensità con degenze brevi . Ne sono previsti 381, 10 dei quali nell’isola.

La funzione di coordinamento e collegamento dei vari servizi sanitari territoriali è affidata alle «Centrali operative territoriali» (Cot) che assicurerà lo scambio di informazioni tra gli operatori sanitari e sarà un punto di riferimento per i familiari caregiver. È prevista una Cot ogni 100.000 abitanti, in corrispondenza delle aree geografiche in cui verrà suddiviso il territorio (distretti). Da organizzare entro 5 anni saranno in totale 602, di cui 16 in Sardegna. Previsto il potenziamento delle cure domiciliari per le malattie croniche. E qui viene al pettine uno dei nodi: quello della medicina generale e dei medici di famiglia, il cui lavoro è disciplinato da accordi collettivi sottoscritti dalle rappresentanze sindacali e dalla Conferenza Stato-Regioni. Sul loro ruolo nel progetto e sulla questione della contrattualizzazione, è in corso un dibattito che sta facendo emergere posizioni molto diverse, con governo e sindacati schierati su posizioni assai distanti. Sulla bozza di decreto sul Pnrr , peraltro, si stanno levando molte voci critiche. Qualche presidente di Regione denuncia ‘il centralismo ’ del piano, evocando il titolo quinto della Costituzione e denunciando la perdita di ruolo delle comunità del territorio , che non dovrebbero essere private della possibilità di intervenire sulle opere da realizzare , le priorità, le esigenze. L’impressione è che la rivoluzione dovrà confrontarsi con le dure resistenze dei governi regionali, ma non solo . Se non impossibile la ‘missione’ sanità - i cui contorni restano ancora da definire - si annuncia difficile e ardua.

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