La Nuova Sardegna

Il crollo demografico

La Sardegna è un paese di vecchi

di Matteo Porru
La Sardegna è un paese di vecchi

Mettere al mondo un figlio oggi è un atto di coraggio e di fiducia verso il futuro

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Che la Sardegna sia un posto per vecchi si sente dire da ogni parte. Dati Istat alla mano, ahi noi, è così: se aggiungessimo d’ufficio vent’anni al calendario, la stragrande maggioranza della popolazione sarda sparirebbe. E il ricambio generazionale questa perdita non riuscirebbe nemmeno a colmarla della metà. In tanti si sono chiesti il perché, altri il come, molti quando questo tremendo fenomeno di scomparsa sia iniziato. Ribaltando la questione, però, resta un lato scoperto: chi rimane e chi crescerà in questo bellissimo posto in mezzo al Mediterraneo fra vent’anni? Se la tendenza è questa, non siamo messi benissimo. Le scuole materne ed elementari hanno sempre meno iscritti, perché le famiglie non fanno più figli, perché mancano strutture e garanzie. Non ci sono prospettive economiche e sociali (e, se ci sono, non sono rosee, hanno un colore più biancastro e fragile). Mettere al mondo un figlio oggi, a prescindere dalla scelta, è un atto di coraggio e di fiducia per i tempi che abitiamo. E se spostiamo il focus, se aggiungiamo i due decenni, i giovani di domani avranno lo stesso coraggio e la stessa fiducia? C’è un piccolo dato di fatto a cui nessuno pensa più: moriremo tutti. Qualcuno deve nascere. E nascono in pochi: l’età media dei residenti in Sardegna è di quasi cinquant’anni – 48,1 per l’esattezza –. Il campanello d’allarme c’è e suona da parecchio. Ma non è questo ad amareggiare. La cosa che più infastidisce di questo discorso è che a mancare siano sempre le stesse cose: politiche attive, aiuti alle famiglie, agevolazioni, lavoro, per citarne solo alcune. Una iniezione di fiducia, insomma. Che faccia tornare la voglia di mettere al mondo bambini.

A livello politico siamo un cane che si morde una coda lunga e infetta, se la morde da così tanto tempo che ormai è consumata e non gli fa più così male, si è abituato al dolore, l’ha accettato. Delle due l’una: o interveniamo davvero, e in maniera chirurgica, o ci arrendiamo alle nostre incapacità politiche, lavorative e territoriali. Perché, se da qui a vent’anni le cose peggiorano, fra quaranta sventoleranno la bandiera bianca, non più quella dei quattro mori.

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