La Nuova Sardegna

Una piaga digitale

Le sentenze social, smettete di accusare i ragazzi

di Matteo Porru
Le sentenze social, smettete di accusare i ragazzi

Ci si nasconde troppo spesso dietro lo schermo di un computer, di un telefono, e si evangelizza, si giudica senza pietà e senza alcun pudore

15 settembre 2023
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Se i morti hanno un problema è che restano i vivi. E criticano, offendono, stracciano qualunque forma di dolore e di empatia. Lo sanno bene i quattro ragazzi che hanno lasciato la vita nel tremendo incidente di viale Marconi a Cagliari, e gli altri due ricoverati in ospedale. È un automatismo sociale condiviso, maledetto, che agisce in penombra e viene sempre alla luce in occasioni precise, con fatti eclatanti. Quella logica perversa per cui una vittima non è mai abbastanza vittima: ha sempre una colpa, una qualche forma di responsabilità, anche collaterale, anche minima.

Lo stesso meccanismo secondo cui se una ragazza subisce una violenza è perché portava una minigonna o camminava troppo tardi la sera o ha detto prima sì e poi no, basta. Come se l’incidente potesse essere evitato con una persona in meno in macchina. Come se non fosse vero che i ragazzi hanno chiamato a lungo un taxi prima di salire sulla vettura (e non l’hanno mai trovato). Come se non fosse vero che, per un inspiegabile motivo fatto di casualità e di sfortuna, la vita si piega e a volte si spezza, a prescindere dalle scelte e dalle storie di sei ventenni. Ci si nasconde troppo spesso dietro lo schermo di un computer, di un telefono, e si evangelizza, si giudica senza pietà e senza alcun pudore.

Ci siamo dimenticati cos’è il rispetto, cos’è il silenzio, e pure come mantenerlo. Perché oggi più che mai serve parlare, parlare e basta, anche a vanvera, a sproposito. Perché ci immaginiamo tutti su un qualche palco della vita con i riflettori accesi quando un posto, se è assegnato, è in platea oppure in loggia. Una sedia piccola, minuscola, da dove il punto di vista sulle cose può sembrare assoluto, compiuto. E invece non lo è mai. Credere di essere seduti su un trono non serve a niente e a nessuno se non a un re nudo, senza sudditi né reami. E forse nemmeno dignità. Cari Najibe, Alessandro, Simone, Giorgia, Alessandro, Manuel, dal profondo del cuore, scusateci. Meritavate tutto l’amore che avreste avuto dalla vita.

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