L’ordine dei centenari sardi
Annunziata Stori di Perdasdefogu, ultracentenaria, ogni mattina si sveglia, va in cucina e prepara la fregula. Qualche giorno fa, durante il Festival della Longevità, mi ha confidato che nel suo secolo abbonante di vita ha vissuto sempre e soltanto “in ordine”. Tutto sistemato, organico, composto, dalla casa alla famiglia, dai legami alle briciole.
Non è la sola: Antonio Brundu, che di anni ne compirà cento quattro, parla delle sue avventure come se le toccasse; e Peppino Martiri, novantunenne, ricorda ancora le frasi dei suoi maestri elementari e i nodi di spago che faceva per costruirsi i giocattoli. Ma l’ordine di Annunziata è quello che manca al mondo di oggi. Quello che, forse, non tornerà più. Il mondo matto in cui abitiamo vive nel disordine, nella disomogeneità.
C’è confusione, sempre e ovunque, così tanta che ci abitua al trambusto e si finisce per accettarlo o, ancora peggio, per normalizzarlo. Non ci sono regole o morali condivise e, se ci sono, si semplificano o banalizzano. Da tempo ci si chiede cosa potrebbe salvarci e, forse, la salvezza è proprio l’ordine di Annunziata. Forse ci salverà la compostezza, il rigore e la genuinità. Saranno i ruoli adatti, le condizioni di equità e di giustizia.
Forse per fermare tutto questo basta una presa di coscienza collettiva, condivisa: progrediamo se ognuno fa il suo. Se l’organizzazione della quotidianità è efficace. Se costruiamo, e non ricostruiamo, un mondo per tutti e non per noi stessi. Il problema è che lo dice una signora di centouno anni ma non serve più di un secolo per capirlo. Basta ascoltarlo (o meglio, volerlo ascoltare) e volerlo accettare.
Perché il disordine a noi, di fatto, fa comodo. Perché cambiare per il meglio vuol dire comunque cambiare e a nessuno conviene davvero. Perché rimuoviamo l’anziano dalla narrazione comune e lo vediamo come una reliquia e non come una delle poche vere risorse che abbiamo. Perché l’ordine di Annunziata è cosa rara. E oggi non capiamo più le rarità, e se le troviamo non ci identifichiamo, e se ci identifichiamo non ci confortano.