La Nuova Sardegna

Oristano

Musica e spettacoli sono un bel lavoro

di Roberto Petretto

I creatori di Dromos parlano della difficoltà e del fascino di una professione scelta un po’ per passione, un po’ per caso

20 ottobre 2013
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ORISTANO. Un sodalizio che dura da vent’anni: Salvatore Corona e Roberto Delogu sono i fondatori dell’agenzia di spettacoli Applausi, ma anche i padri di uno dei festival più importanti della’isola, Dromos. L’incontro domenicale di questa settimana è con loro, per parlare di spettacolo, cultura, enti pubblici, soldi, strutture. E altro ancora.

Salvatore Corona e Roberto Delogu: professione?

Corona: «Mi piace definirmi “operatore culturale”. O, almeno, è quello che vorrei fare da grande».

Delogu: «Io invece sono più specializzato nella parte tecnica dell’organizzazione degli eventi».

Vent’anni insieme: quanto spesso litigate?

C: «Mah... avremo avuto cinque litigi molto forti»

D:«Forse meno: diciamo una volta ogni cinque anni. Ma mai con il rischio di rompere tutto. O quasi...»

Come si arriva a fare questo lavoro?

C: «Io sono un po’ un artista fallito. Sin da giovanissimo ho vissuto negli ambienti della musica. Frequentavo i Salis, gliStormy Six. Però sono stonato e non so suonare. Mi affascina ciò che è creativo. Più che l’aspetto organizzativo mi piace lavorare al tema di Dromos».

D: «Io ci sono arrivato per caso. Facevo tutt’altro. Vivevo a Alghero e mi occupavo di rifiuti. Sono arrivati a casa degli amici musicisti che erano in tour e da lì ho cominciato a pensare che avrei potuto occuparmi di queste cose. L’ho fatto, dapprima con le feste in piazza, poi la svolta è arrivata con Dromos».

«Se non avessi fatto questo lavoro sarei diventato...» Che risposta vi date?

D: «La mia grande passione è la meccanica, le automobili. Mi sarebbe piaciuto diventare collaudatore, o magari venditore di auto. Quell’ambiente mi piace».

C: «Quando è nato Dromos ho pensato: o questo lavoro si evolve, o mi metto a fare l’agricoltore. Ma ho capito che si poteva crescere, si poteva espandere l’orizzonte. In fondo è sempre sentito che il mio lavoro sarebbe stato questo».

Farlo a Oristano è più difficile che altrove?

C: «La povertà, la necessità aguzzano l’ingegno. Vivere qui ci ha dato la possibilità di crescere. Di tracciare delle strade che stanno lasciando un segno. Ora si parla tanto di fare rete: noi con Dromos lo facciamo da dieci anni, abbiamo creato una rete di Comuni. Non avere una location fissa ci ha costretto a ingegnarci per trovarne sempre di nuove. E poi abbiamo budget ridotti rispetto a territori più ricchi e per far parlare di Dromos ci siamo inventati attività artistiche particolari, come quella di allagare tre chiese e riempirle di muggini».

D: «Ogni anno cerchiamo di rinnovarci, anche negli eventi collaterali. Cinema, letteratura, quest’anno anche un contest destinato ai giovani che ripeteremo».

Percepite a Oristano una certa diffidenza nei vostri confronti? Per intenderci, a volte si dice: “Si, va bene Dromos, però quelli ci fanno i soldi”...

C: «Vorrei rendere pubblico il bilancio del festival. Dromos non ci dà uno stipendio, neppure di 1.500 euro al mese. Siamo costretti a fare altro, le feste di paese, per intenderci, per sopravvivere. A Oristano abbiamo speso 100mila euro a fronte di un contributo comunale di 20mila. Ce ne avevano promesso 38mila, ma ci sta che l’amministrazione debba fare dei tagli. Però i conti sono questi».

D: «Sa quanti soldi ci abbiamo rimesso con l’organizzazione del concerto di Ligabue? 70mila euro. E poi è facile fare i conti, visto che la Regione ci obbliga a rendicontare anche l’ultimo spillo».

Dromos in questi 16 anni è cresciuto, è diventato una sorta di brand...

C: «È vero, significa che abbiamo lavorato bene. E abbiamo avuto dei riconoscimenti dall’assessorato regionale al Turismo, dalla Fondazione Banco di Sardegna, dalla Banca di Sassari».

Ecco, ma cosa non rifareste?

C: «Rifarei tutto. Si cresce anche attraverso percorsi difficili».

D: «Si cresce più dai fallimenti che dai successi. Ogni anno, poi, ci porta maggiore esperienza».

Il concerto più brutto che avete organizzato?

C: «Lo devo ancora fare»

E quello più bello?

C: «Dal punto di vista organizzativo, senza dubbio quello di Ligabue».

D: «È stato come frequentare l’università».

C: «Artisticamente quelli di Mulatu Astatke o di Salif Keita».

Il concerto che vorreste organizzare?

C: «Quando ho iniziato sognavo di organizzare un concerto di De André. E abbiamo organizzato l’ultimo live all’aperto di De André, a Nuoro. Oggi: mi piacerebbe Tom Waits o John Zorn».

D:«Io ho gusti un po’ diversi. Avrei voluto organizzare un concerto di Benson e ci sono riuscito. Ora mi piacerebbe Donald Fagen».

Sogni?

C: «Non si tratta di sogni. Si può fare. L’importante è trovare l’energia giusta, prima ancora dei soldi. Cerchiamo dei partner che hanno energia, per costruire una rete vasta che duri nel tempo. Mi piace che un assessore o un sindaco lavorino insieme a noi, vivano l’evento dalla prima fila».

D: «Un festival cresce se lo vuole la comunità. Guardiamo agli esempi di Berchidda e Nureci.Serve complicità».

C: «Nureci spende 36mila euro per il festival: crede che quei soldi non tornino abbondantemente nella comunità. Il periodo più intenso per gli alberghi di Oristano è quello d Dromos, non c’è mai stata così tanta gente come per il concerto di Ligabue».

D: «Con i concerti a Capo Mannu da soli abbiamo occupato 128 posti letto».

Vi si accusa di essere monopolisti...

C: «Monopolisti? Ma se sono anni che non organizziamo nulla per il Capodanno, non organizziamo nulla per il Settembre Oristanese».

Infine la questione della strutture. Quanto manca una struttura fissa?

D: «Si ripercuote sui costi. Quando era disponibile l’anfiteatro romano a Cagliari con 6mila euro si avevano tutti i servizi a disposizione. Noi per allestire lo spazio del seminario ne abbiamo speso 10mila perché devi fare tutto da zero.Esiste da anni un nostro progetto per la riqualificazione del mercato civico. Si potrebbero utilizzare tribune e palco già di proprietà del Comune per un intervento a basso costo. Serve uno spazio modulare, non una struttura da 10mila posti».

C: «Non è più tempo di cattedrali nel deserto. Il sistema è arrivato a saturazione. Dobbiamo andare verso una decrescita felice».

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