La Nuova Sardegna

Oristano

Neanche il lockdown fermò la banda

di Michela Cuccu
Neanche il lockdown fermò la banda

Cuglieri, i finti restauratori di oggetti sacri in azione anche durante la serrata

22 ottobre 2020
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CUGLIERI. Avevano lasciato la Sardegna, tutti insieme, per trasferirsi nella Penisola alla fine del 2018, probabilmente perché avevano avuto sentore di essere stati scoperti. Salvo poi tornare, come si dice “sul luogo del delitto” a metà marzo di quest'anno. In pieno lockdown alcuni di loro erano stati dalle suore di un istituto religioso di Cuglieri, probabilmente per riscuotere una “parcella”. Per essere sottoposti agli interrogatori di garanzia, non torneranno in Sardegna, gli otto restauratori abusivi, che facevano parte di una presunta holding dedita a delinquere (composta da tredici persone cinque delle quali denunciate a piede libero) tutti italiani di etnia rom, sottoposti alle misure cautelari emesse dalla giudice per le indagini preliminari, Silvia Palmas.

Le accuse parlano di associazione a delinquere a scopo di truffa ed estorsione ai danni di almeno un centinaio fra sacerdoti e religiose. La lunga indagine coordinata dal procuratore della Repubblica, Ezio Domenico Basso e condotta dai carabinieri del Nucleo di tutela del patrimonio culturale di Cagliari e Oristano e dai militari del comando provinciale di Oristano, è contenuta in un dossier di oltre 240 pagine.

Indagini non facili, che ricostruiscono una presunta rete di truffe ed estorsioni iniziate in Sardegna e proseguite nella Penisola. Ieri, il Procuratore Basso, ha spiegato come si trattasse di un’organizzazione quasi perfetta. Pur non avendo una contabilità legale (alcuni risultavano nullatenenti e per questo ricevevano il reddito di cittadinanza), utilizzavano carta intestata per i preventivi che presentavano ai parroci, i quali però solo dopo scoprivano che le somme da pagare nel frattempo erano lievitate.

Pur sapendo che i restauri degli oggetti sacri andavano affidati a laboratori convenzionati con le Curie, i sacerdoti si lasciavano attirare nella rete degli estorsori dalla possibilità di notevoli risparmi. A influenzare la loro scelta, probabilmente, c’erano anche le reminiscenze dei tempi andati, quando, non di rado, la pulizia degli argenti delle chiese veniva effettuata proprio da artigiani rom che si spostavano di paese in paese per svolgere il loro lavoro. Di sicuro, nessun religioso poteva sospettare che dietro quelle lettere di false referenze che gli venivano esibite, ci fosse la trappola del ricatto e dell’estorsione.

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