Quel sacchetto di farina di mais arrivato assieme ai primi coloni di Arborea
Dalle origini della cittadina al boom economico del Dopoguerra. Una storia sempre legata alle terre di origine e alla Bonifica
La sagra della polenta è stata la prima delle iniziative varate dalla Pro loco di Arborea. «Era il 23 ottobre del 1983: l’associazione era stata istituita l’anno prima, quando si decise di dedicare al piatto identitario di gran parte dei coloni che fondarono la cittadina, una festa che fosse un evento gastronomico, ma anche momento di unione della comunità». Sono le parole di Paolo Sanneris, attuale presidente di una delle Pro Loco più attive della Sardegna. Non è veneto e nemmeno è nato ad Arborea, bensì ad Ales da dove si trasferì nella cittadine della Bonifica molti anni fa per lavoro come funzionario della Coldiretti e, successivamente, portando con sé la famiglia. È un po’ come dire che in questa località fatta di tante etnie, ben distinte e ancora molto legate alle tradizioni delle regioni di provenienza, si è sempre sentito a casa.
Paolo Sanneris spiega come il legame tra Arborea e il Veneto, probabilmente la regione di maggior provenienza dei coloni fondatori della Bonifica, non si sia mai allentato, ma anzi, è andato rafforzandosi nel tempo. Non è un caso che Arborea sia stato il primo Comune onorario del Veneto e che veneti siano i due Comuni, Villorba in provincia di Treviso e Zevio in provincia di Verona, con i quali è gemellato. «Da questi paesi arrivò un gran numero di coloni – racconta il presidente della Pro Loco –. Loro e i loro discendenti, questi ultimi nati in Sardegna, hanno mantenuto non solo la cucina, ma la loro cultura e addirittura parlano in dialetto veneto e lo hanno insegnato ai sardi. Peccato che noi sardi non siamo riusciti a fare altrettanto con loro con sa limba». Poi aggiunge: «Agli inizi le loro erano comunità molto chiuse, col tempo tutto è cambiato: l’integrazione è stato un processo spontaneo con la formazione di famiglie tra veneti e sardi. Insomma, Arborea è una grande comunità, unita e coesa seppur fatta di culture e tradizioni diverse».
A sottolineare ancora una volta il legame inscindibile con il Veneto, anche quest’anno è prevista la partecipazione di una delegazione di Villorba alla Sagra della Polenta, delegazione che sarà anche protagonista ai fornelli. Domenica proporrà infatti la polenta con radicchio trevigiano e pancetta. «Porteranno il loro radicchio e la pancetta, ma la polenta sarà quella proveniente dalle colture di Arborea».
Come spiega Paolo Sanneris, questo è l’unico paese in Sardegna dove si coltiva il mais da polenta. Ce n’è poco: circa quattro ettari e non essendoci nell’isola un mulino adatto alla macinazione, viene spedito in Veneto, per poi ritornare sotto forma di farina fine, molto diversa dalla bramata, tipica della Lombardia. Furono i coloni veneti a portare la loro polenta sino ad Arborea. «Avevo nove anni e mio fratellino appena quaranta giorni. Avevamo preso con noi poca biancheria, un mobile e un sacchetto di polenta che ci ha sfamati. Qui, nel 1932 non c’era praticamente nulla». Questo, nel 2018, in occasione del centenario della fondazione della Bonifica, raccontò alla Nuova Sardegna, Zoraide Capraro, l’allora decana dei coloni, scomparsa un anno dopo. Le sue parole confermano come la polenta fosse in quegli anni la base dell’alimentazione delle famiglie contadine. Polenta che non fecero mai mancare dalle loro mense nemmeno una volta insediatisi in Sardegna.
«Portarono con sé non soltanto la farina di mais, ma anche i semi – racconta Paolo Sanneris – furono loro a iniziare la coltivazione con sementi della varietà Marano, la più diffusa nelle loro zone che poi è diventata una Dop». Il mais Marano coltivato ad Arborea non diverrà mai dop, ma le sementi vennero anno dopo anno conservate gelosamente dai coloni che in Sardegna condussero almeno all’inizio, una vita di sacrifici con una dieta molto povera.
«Si mangiava poco – raccontò Zoraide Capraro –, la spesa si poteva fare una volta al mese dopo aver preso il salario. Per trovare un negozio bisognava arrivare fino a Terralba. Il piatto principale era la polenta e solo la domenica il menù cambiava: pollo e patate. Un solo pollo, però, da dividere in ventidue: era l’unica carne della settimana». Insomma, una conferma di come la polenta, sino ad almeno due decenni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, fu l’alimento che salvò dalla fame tantissime persone. Una storia che sembra ancora più remota oggi, che la polenta diventa invece un piatto identitario e ricercato, tanto da essere celebrato in una sagra quarantennale come quella di Arborea.
© RIPRODUZIONE RISERVATA