La Nuova Sardegna

Zaira, da Sassari al lager

di Elisabetta Francioni e Gabriella Nocentini
Zaira, da Sassari al lager

La storia di un’insegnante dell’Azuni deportata ad Auschwitz e morta nei forni

26 gennaio 2014
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Nel cimitero di Sassari, entrando da via San Paolo, c’è una lapide che ricorda una donna le cui spoglie non hanno mai avuto sepoltura. “La tua Zaira Auschwitz. IV. 1943”, recita la scritta sulla piccola lastra di marmo sovrapposta a una tomba preesistente. Se fosse morta di vecchiaia o di malattia Zaira Coen sarebbe stata sepolta qui, accanto al marito Italo Righi. La sua vita, invece, finì il 23 maggio del 1944 (la data sulla tomba è palesemente sbagliata) molto lontano da casa, nel forno crematorio di un campo di sterminio della Polonia. La deportazione razziale in Sardegna colpì solo tre donne ebree: Elisa Fargion di Cagliari morta a Birkenau, Vittorina Mariani di Porto Torres sopravvissuta al lager di Bergen Belsen e lei, Zaira Coen, che sarda non era ma viveva a Sassari. Oggi è possibile ricostruirne più a fondo la vicenda, alla luce di nuovi documenti rinvenuti in archivi storici e di due testi: Il Libro della memoria di Liliana Picciotto Fargion e il saggio Sardi nella deportazione di Aldo Borghesi.

Studi a Bologna. Vittoria Zaira Coen era nata a Mantova da Ernesto Coen ed Erminia Rimini il 4 ottobre 1879, primogenita di una famiglia numerosa la quale, nel 1897, si era trasferita a Bologna. Qui, nel 1905, Zaira aveva preso la laurea in scienze, poi l’abilitazione all’insegnamento e nel 1919 aveva sposato il medico Italo Giuseppe Righi, otto anni più di lei, della famiglia sassarese titolare del noto negozio di mobili e antichità. “Persona elegante, di aggraziata e squisita femminilità” – ha scritto di lei il pronipote Paolo Pinna Parpaglia -, giunta a Sassari insegnò scienze per 8 anni alla Scuola normale femminile, poi all’Istituto tecnico Lamarmora e infine, dal 1935, al Liceo Ginnasio Azuni. Come si legge in una nota inviata al Partito nazionale fascista dal professore Francesco Pilo Spada, la professoressa Coen Righi era «di buona condotta morale e politica». Iscritta al partito e all’Associazione fascista della scuola, ricopriva incarichi nelle organizzazioni femminili e partecipava alle attività del Fascio sassarese.

Insegnanti nel mirino. Non le mancava, inoltre, la stima del corpo insegnante per i suoi meriti professionali e un’autentica devozione da parte degli allievi. Ma a nulla servirono queste sue credenziali quando, in virtù del decreto “Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista” emanato nel 1938, fu dapprima sospesa e due mesi dopo dispensata dal servizio, sorte che in Italia toccherà a circa 280 tra insegnanti e presidi e ad oltre 400 tra docenti e assistenti delle università. A Sassari – ha scritto Manlio Brigaglia – furono rimossi due soli ebrei: la Coen e Michelangelo Ottolenghi, docente nell’Ateneo turritano, anche lui di origine non sarda. «Emarginata nel piccolo ambiente cittadino e persino oggetto di scherno – scrive Borghesi – Zaira Coen si ritrova senza lavoro e sola, perché nel 1938 muore il marito. Con l’entrata in guerra dell’Italia e soprattutto dopo l’8 settembre 1943 il destino degli ebrei diventa ancora più tragico: la nascita della Repubblica sociale segna infatti il passaggio dalla persecuzione dei diritti alla persecuzione delle vite. E’ il momento di nascondersi, di rifugiarsi da qualche parte. I parenti Righi vogliono cercarle un posto sicuro in una piccola località del Logudoro, ma a nulla valgono le loro insistenze: Zaira decide di raggiungere la sorella Ione, anche lei vedova, a Firenze. Intanto nel novembre del ’43 Norina Coen, la sorella più giovane che viveva a Genova, era stata arrestata insieme al marito e alla figlia durante la prima grande retata degli ebrei liguri: partita per Auschwitz, sarà censita come «morta in data e località sconosciute» (forse di fame e sete, in un vagone abbandonato dopo un’incursione aerea alleata, come riportano le memorie familiari).

Fuga a Firenze. A Firenze Zaira e Ione furono vittime di una denuncia del portiere dello stabile in cui vivevano: oltre a riscuotere il premio stabilito per i delatori, sembra che l’uomo fosse interessato agli oggetti preziosi custoditi nella casa. In realtà, è quasi certo che furono tedeschi e membri dell’Ufficio affari ebraici a saccheggiare beni e gioielli. Arrestate, pare, da agenti di polizia e rinchiuse nel carcere fiorentino di Santa Verdiana, saranno tradotte al campo di concentramento e di transito di Fossoli (Carpi, Modena) il 23 aprile 1944. Da qui partiranno il 16 maggio su un convoglio piombato che, secondo gli studi di Italo Tibaldi, superstite di Mauthausen, venne diviso in due sezioni alla stazione di Innsbruck: una parte si diresse al lager tedesco di Bergen Belsen, l’altra ad Auschwitz, con 581 persone tra cui molti fiorentini e le due Coen. Nedo Fiano, 19 anni all’epoca, uno dei 60 sopravvissuti, ha raccontato nel suo libro A 5405: il coraggio di vivere il viaggio su un vagone di quel convoglio che, di tutta la deportazione italiana, impiegò più tempo per arrivare: 7 giorni. «A notte fonda il convoglio entrò dentro il lager di Birkenau. Alle prime luci dell’alba… i vagoni vennero aperti. Dove eravamo? Cosa ci avrebbero fatto?». La selezione dei prigionieri, divisi tra uomini e donne, fu fatta com’era prassi alla discesa dai treni, subito dopo l’appello. Scrive un’altra sopravvissuta dello stesso treno, Frida Misul: «Dopo la selezione, rimanemmo 65 ragazze, tutte robuste».

Subito alle “docce”. Le Coen, troppo anziane per essere ritenute abili al lavoro (avevano 65 e 61 anni), furono avviate subito alle “docce”, le camere a gas. «Morte all’arrivo» è scritto di loro nel Libro della memoria e tale circostanza fu confermata anni dopo da altri reduci di quel treno.

I nomi di Zaira e Ione Coen compaiono su due grandi targhe che Firenze ha dedicato alla deportazione: una nel giardino della sinagoga, in ricordo dei 248 fiorentini morti nei lager e un’altra inaugurata il 27 gennaio 2012 in Palazzo Medici Riccardi, sede della Provincia, con i nomi di tutti i deportati della Toscana (857 ebrei e 964 politici). Alla professoressa Coen il Liceo Azuni ha intitolato nel 2001 il proprio archivio storico, dopo il riordino effettuato da un gruppo di insegnanti e studenti. E’ stato lo scrupoloso lavoro condotto su queste carte, per tanti anni dimenticate, che ha permesso di ritrovare il fascicolo personale dell’insegnante, la cui vicenda era stata rimossa dalla memoria collettiva della città. Basti ricordare che in settant’anni non si è mai pensato di dedicare una strada ad una donna che, in vita e in morte, è stata parte della storia di Sassari. Raccontare oggi di lei, alla luce di questi nuovi documenti, contribuisce a dare il giusto riconoscimento alla sua figura e ci indica il senso di un percorso della Memoria: conoscere, interrogarsi, non dimenticare.

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