La Nuova Sardegna

Berlusconi amareggiato pensa al passo indietro

di Pietro Criscuoli
Berlusconi amareggiato pensa al passo indietro

Fitto, il più votato, sbarra la strada a Marina: nuovo leader scelto con le primarie Alfano: «Forza Italia crolla, quando capiranno mi facciano un colpo di telefono»

27 maggio 2014
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ROMA. Silvio Berlusconi ingoia l’amaro risultato elettorale e pensa seriamente a farsi da parte. Quel 16 per cento (rapportato al 58% dei votanti è il 9%) gli fa perdere le speranze di risalire la china con la sua leadership. «Non ho fatto campagna elettorale da uomo libero», lamenta. Ma molti nel partito gli rimproverano, sussurrando, che ha sbagliato propaganda, ha tirato la volata a Renzi attaccando quasi solo Grillo.

Nell’universo berlusconiano si fa strada prepotentemente la figura della figlia Marina, ma si fa largo anche una forte conflittualità interna, con Raffaele Fitto che fa il boom di preferenze (284mila contro le 148mila di Giovanni Toti), si impone come ipotesi di leader e lancia l’idea delle primarie. Niente incoronazioni dinastiche in famiglia, sembra voler dire. E sullo sfondo c’è un Angelino Alfano che si tiene stretto quel poco più del 4% ottenuto domenica, ribadisce che bisogna unire i moderati e ripete che con questa Forza Italia non si può. La condizione è che il Cavaliere si faccia da parte.

Berlusconi di buon mattino raccoglie i cocci della disfatta e inizia a lavorare di colla. «Nella mia vita e in questi venti anni in politica sono dovuto ripartire più volte dopo un risultato negativo. Sarà così anche stavolta. La mia stella polare resta l’unità delle forze moderate alternative alla sinistra». Risultato deludente, concede, ma Forza Italia resta «il perno insostituibile del centrodestra» e ha i numeri per essere decisiva per fare «riforme vere e durature». Il messaggio al Pd vittorioso è chiaro: noi siamo qui, pronti a mantenere gli impegni e a far valere il nostro peso. E qui si pone già un nuovo problema all’orizzonte: vorrà Berlusconi sostenere una riforma elettorale come l’Italicum che premia chi supera il 37% (come ha fatto il Pd) o manda al ballottaggio i primi due partiti (Pd e M5S)? Contemporaneamente Berlusconi fa le sue «sincere congratulazioni» a Matteo Renzi per il suo successo personale e si mette alla finestra: «Ora vediamo come lo userà».

Ma il timore principale del Cavaliere è che adesso il partito si sfaldi, rendendo una valanga lo smottamento degli ultimi mesi (le defezioni di Paolo Bonaiuti e Sandro Bondi). Timore che si coniuga con il dubbio se lasciare o no.

Ormai nel partito su questo il dibattito è aperto. Perfino un fedelissimo come Maurizio Gasparri sottolinea la necessità di «guardare a una nuova leadership». La candidatura di Marina è in campo da tempo, nonostante le smentite dell’interessata. Una parte del partito è pronta, come sostiene Maria Stella Gelmini. Altri, come Renato Brunetta, sono molto perplessi. Bruciato Giovanni Toti, ritorna in campo Raffaele Fitto con il suo successo personale. Qualunque nuovo leader, dice, deve essere legittimato dalle primarie. Uno stop in piena regola, visto che difficilmente Marina potrebbe sottoporsi alle forche caudine del voto popolare. Le carte sono in mano a Berlusconi, che deve in primo luogo cercare di mantenere il partito unito e motivato.

Tutto comunque dovrà passare per lo stretto passaggio della ri-alleanza con il Ncd di Alfano, senza la quale alla prossime politiche le probabilità di farcela sono zero. E Alfano, forte comunque di un risultato che gli fa superare la soglia del 4% e spedire tre dei suoi a Strasburgo, non sembra affatto disposto a ripresentarsi col capo cosparso di cenere. «Abbiamo superato lo sbarramento alla faccia di chi non voleva. Forza Italia crolla, noi abbiamo un patrimonio enorme sul quale costruire il futuro: un milione e duecentomila voti per ricostruire l’area moderata”. Un patto con Fi si farà «quando capiranno che il mondo è cambiato». «Quando sarà, mi facciano uno squillo di telefono, ma dalle dichiarazioni di oggi capisco che non è così».

Alfano manda anche un messaggio a Renzi: «Si ricordi che il suo governo non è un monocolore Pd. Deve tenere conto che noi siamo il pilastro di centrodestra dell’esecutivo. Diremo sì ai programmi che corrispondono ai nostri valori ma che non possono essere piegati alle esigenze del Pd».

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