La Nuova Sardegna

I volontari della Fiera: «Mai visto tanto coraggio»

di Alessandra Sallemi

Tra gli operatori impegnati a gestire il campo profughi allestito dalla Caritas Il contatto umano con i migranti tocca le corde della solidarietà più profonda

27 agosto 2015
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CAGLIARI. L’operatrice vive con imbarazzo il ricordo di un suo viaggio in Africa dove aveva incrociato i bambini che andavano incontro ai turisti e, in cambio di monetine, penne e cos’altro, stavano davanti a loro una decina di minuti circa, il tempo di essere apprezzati per la bellezza degli sguardi. L’operatrice abbassa gli occhi quando esprime il pentimento per aver preso in fretta da casa le Geox bucate del figlio e vari capi di abbigliamento di cui si disfaceva volentieri e portarli alla raccolta promossa dalla Caritas diocesana. Il luogo del ripensamento è la fiera campionaria di Cagliari, la data in cui è cominciato è il 14 agosto 2015 quando, nella città turistica alle prese con i crocieristi, una massa umana dolente in arrivo dalla Libia si è riversata nel porto e, da qui, per “disponibilità istituzionale”, una parte di questa è stata trasferita alla fiera di viale Diaz seguita, come è noto, a distanza di altri sette giorni, da una quantità quasi uguale di migranti. L’operatrice è stata richiamata dalle ferie il 14 agosto, come i volontari della Caritas, gli scout, il medico che aveva appena chiuso lo studio di Sinnai per il fine settimana di Ferragosto. Ieri, nel padiglione dove ci sono stati fino a 300 profughi, ne rimanevano 80, in partenza anche questi per la Penisola. «Io che senza telefono e senza bancomat non so stare, io che penso di non poter cambiare la mia vita, ho visto queste donne con i bimbi piccoli in braccio salire su un bus e non sapevano dove le portavano... non ho mai visto tanto coraggio, non ho mai fatto un’esperienza così». Appena hanno avuto sapone per lavarsi e vestiti puliti le donne eritree si sono pettinate e la prima cosa che hanno avuto bisogno di fare è stato lavare gli indumenti e appenderli ad asciugare in un filo cercato in tutto il campo e teso fra due pali della luce. Nel campo c’è pace, le facce sono giovani, i ragazzi giocano a calcio, un pallone sfiora una suora, il giovanotto ci resta malissimo e si avvicina a scusarsi. Bolle il cellulare del medico, sta seguendo il decorso di alcuni migranti ricoverati. E’ contento: il ventenne che ha fatto portare in ospedale sta migliorando, gli ha prestato il telefono e il ragazzo è riuscito a parlare con lo zio in Svizzera. Lo aspettano. Forse non è un caso che l’appello a considerare le richieste dei migranti di lasciare la Sardegna abbia qui grandi sostenitori: questi eritrei sono cristiano copti, a casa loro rischiano di essere decapitati a ogni angolo, tutti, anche un capitano dell’esercito arrivato col penultimo contingente, appena hanno potuto sono scappati e raggiungere i parenti altrove in Europa è ciò che hanno inseguito disperatamente quando accettavano percosse, rapine, l’acqua sporca da bere, la malattia. Tutto questo continuerà: «Siamo di fronte a nuovi eventi che richiedono una nuova cultura - dice il medico - dobbiamo avvicinarci a queste persone con rispetto e senza offenderli con la curiosità». Non è una frase fatta, il medico del campo Caritas della Fiera è Claudio Lussu, che presta servizio anche in carcere, prima Buoncammino e adesso Uta, e «ormai il carcere è un luogo internazionale dove s’impara la mediazione culturale». Ma la risposta più profonda il dottor Lussu la concede dopo: «Io sono figlio di un padre nato in Tunisia e di una madre nata in Francia dal padre minatore sardo emigrato in Alsazia, la sofferenza dell’emigrazione io la conosco e l’ho rivista, qui, alla fiera. La mia storia familiare è la mia risposta». L’operatrice annuisce, adesso lo sa per sempre.

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