L'inchiesta sulle rapine ai portavalori, dietro gli assalti due o tre gang fotocopia
Ognuna ha il suo nucleo di comando ma i componenti dei gruppi ruotano a seconda dell’obiettivo
NUORO. «Abbiamo un traditore in mezzo... quel viscidone ha gli agganci buoni. ...ce l’hanno con noi è una specie di sfida come per dire che qualcuno sta andando troppo bene».
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Parole rubate dalle microspie che seguivano ogni movimento dei componenti della banda delle rapine. Parole che fanno capire chiaramente che a sferrare gli assalti ai furgoni portavalori e ai caveau degli istituti di vigilanza e a cercare di mettere a segno rapine milionarie non era solo una banda, ma due e probabilmente anche tre.
Bande fotocopia, formate forse da alcuni degli stessi personaggi che si muovono ambiguamente da una parte all’altra con scaltrezza, secondo la loro convenienza. Soltanto i capi e il nucleo di comando delle varie bande sono diversi, mentre molti “manovali” potrebbero essere gli stessi che “saltano” senza problemi da una parte all’altra, alla ricerca di soldi facili. Ad averle costituite potrebbero essere fuoriusciti della banda originaria, richiamando a rimpolparle gli elementi tagliati fuori dalle operazioni più eclatanti e probabilmente innervositi dal fatto di non essere stati coinvolti dopo essere venuti a conoscenza della notevole consistenza dei bottini delle rapine.
Sono molte le analogie tra i vari assalti messi a segno negli ultimi anni. Il modus operandi è più o meno lo stesso, ma quello che più impressiona è la minuziosa preparazione dei colpi. Giorni di preparazione, verifica degli orari di passaggio dei blindati da rapinare, monitoraggio dei percorsi, controlli di ogni particolare utile per non correre rischi inutili. Vedette posizionate in punti strategici e munite di sofisticate attrezzature per poter entrare nelle frequenze delle forze dell’ordine e avvertire i complici in azione.
Tra i tanti assalti, molti dei quali studiati nei dettagli ma irrealizzati a causa degli arresti oppure dei blitz delle forze dell’ordine con il sequestro di auto, fuoristrada e furgoni da utilizzare nelle rapine, stupiscono le impressionanti analogie tra il fallito colpo al caveau dell’istituto di vigilanza Mondialpol di Arzachena e quello messo a segno nel caveau dello stesso istituto a Sassari il 29 febbraio.
La rapina diArzachena era saltata per la soffiata di un misterioso telefonista entrato in contatto con l’allora dirigente della squadra mobile di Nuoro, Fabrizio Mustaro, al quale aveva raccontato le intenzioni della banda.
«Il muro di cinta è in cemento armato e in blocchetti ...occorre un mezzo grande per buttarlo, ma già si abbatte subito e poi bisogna farli spaventare e quindi cagare fuoco, le armi pesanti già ne fanno chiasso la dentro» queste le parole intercettate ai componenti della banda finiti in carcere mentre parlavano del colpo ad Arzachena. La stessa tecnica utilizzata dalla banda che ha assaltato la Mondialpol di Sassari. (plp)