La Nuova Sardegna

L’OCCIDENTE E LE VERITÀ SULLA GUERRA

di BRUNO MANFELLOTTO

di BRUNO MANFELLOTTO E poi a Bruxelles ha sede anche il comando europeo della Nato, e ottanta chilometri più a sud, a Mons, il quartier generale militare. È lì da cinquant’anni, prima era a Parigi,...

26 marzo 2016
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di BRUNO MANFELLOTTO

E poi a Bruxelles ha sede anche il comando europeo della Nato, e ottanta chilometri più a sud, a Mons, il quartier generale militare. È lì da cinquant’anni, prima era a Parigi, ma traslocò quando il generale De Gaulle abbandonò l’Alleanza pur di non rinunciare al progetto nucleare francese, cui teneva evidentemente più dell’Europa e del patto.

Così, tanto per dire che lo spirito nazionalista in tema di difesa e di sicurezza ha radici lontane. E anche per ricordarci che Bruxelles dovrebbe essere la capitale politica e militare dell’Europa sempre, non solo quando le bombe dei terroristi devastano metro e aeroporto. Se non ce ne convinciamo e ci comportiamo di conseguenza, la battaglia è persa. Importante anche disfarsi di comodi alibi e facili luoghi comuni. E dirsi alcune verità.

La prima è che se parliamo di falle nella sicurezza, di deserto dell’intelligence, di sottovalutazione del pericolo il problema non riguarda solo il Belgio, ma tutti. Ciascuno ha le sue defaillance, nessuno può dirsi più bravo né immune da rischi. E prova ne sia l’amara constatazione che i servizi di sicurezza sono come muti, non parlano tra loro, non si scambiano informazioni, e non solo le tre forze di polizia di lingua fiamminga e le tre vallone che operano su un territorio, il Belgio, grande quanto Piemonte e Valle d’Aosta.

L’altra verità è che la guerra contro il terrorismo la stiamo perdendo. Sì. Sono passati quindici anni dall’11 settembre, quando tutto è cominciato, ma l’argine posto dalla diplomazia e dalle campagne militari non è stato sufficiente, anzi ha generato più fanatismo e nuove minacce: si moltiplicano le sigle - Al Qaeda, Is, Talebani, Shabaab, Boko Haram - in Mali, Turchia, Nigeria, Costa d’Avorio, Libia, Maghreb; è stato anche fondato uno stato islamico che i media chiamano Siraq perché si è formato strappando un po’ di Siria e di Iraq. Pensare che la guerra sia lontana da noi, non è vero e non ci salva: basta dare un’occhiata alla carta geografica, l’Europa è circondata…

Ancora. È vero, ce li abbiamo in casa, ma non solo qui, nel senso che i militanti del terrore vanno e vengono, lasciano l’Europa, si addestrano in Siria e tornano a casa. La novità è che molti degli jihadisti d’Europa corsi in guerra contro Assad, hanno capito che lì la loro battaglia rischia il fallimento e hanno deciso di fare dell’Europa il nuovo campo di battaglia. Del resto, fino a pochi mesi fa gli Stati Uniti, che avevano assistito in silenzio alla conquista di Mosul da parte dell’Is e minacciavano di radere al suolo Damasco e Assad, ora trattano con lui.

La guerra si è trasferita dunque in Europa, dove i terroristi sanno di poter trovare protezione e omertà nei quartieri islamici. Molenbeek docet. Anzi, anche questo dovrebbe far riflettere: è riuscita o è fallita la politica di integrazione nelle forme e nei modi in cui è stata condotta? Poiché è impensabile cacciare via con le ruspe, alla moda di Salvini, milioni di islamici che vivono in Europa, sarà pur necessario studiare le forme di convivenza più opportune e più sicure.

E poi. Attentati . e terrore si combattono con le armi, con l’intelligence, ma anche con una politica forte e coerente. Di Israele e Palestina, per dirne una, non si parla più, eppure lì allignano pregiudizi ideologici che poi si espandono; la Turchia è finanziata dall’Europa per arginare l’ondata migratoria, ma non si chiede conto del problema curdo; all’Arabia Saudita, che come altre monarchie del Golfo finanzia generosamente il terrorismo pur di tenere la guerra lontana dai propri pozzi petroliferi e arginare il potere sciita iraniano, si inchinano le grandi potenze: gli americani chiesero aiuto a Riad per cacciare i russi dall’Afghanistan; i francesi, notava qualche giorno fa Alberto Negri, hanno concesso il massimo riconoscimento della Legion d’onore al principe ereditario saudita Muhammad bin Nayef Al Sa’ud, grande acquirente di armi francesi, ma di fatto protettore degli attentatori del Bataclan. Qualcosa non torna, ma questo è oggi l’Occidente che ancora non sa di essere in guerra.

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