Da Bultei a Ottana e Bosa: «Ci hanno lasciato soli»
Fois: per evitare la chiusura della caserma dobbiamo pagare parte del canone Marras: purtroppo solo proclami di buone intenzioni. Mastino: la Regione latita
SASSARI. «Lo Stato c’è». Ogni volta che un sindaco finisce nel mirino di malviventi e bombaroli, quasi come un rito, si ripetono sempre le stesse parole. «Lo Stato c’è». Ma a quelle parole raramente seguono i fatti. Fino al successivo attentato, intimidazione, minaccia quando lo stesso rituale viene ripetuto. «Lo Stato c’è». La sera del 24 gennaio 2015 un ordigno fu fatto esplodere all’ingresso dell’abitazione di Francesco Fois, sindaco di Bultei, in quel momento in casa con la moglie e altre due persone. Molto più che una intimidazione. La bomba era stata piazzata sul portoncino della casa proprio per uccidere il sindaco. Solo il caso ha evitato la strage. Intorno a Fois si strinsero la comunità, le istituzioni, la politica. «Ma dopo le cerimonie liturgiche è calato il silenzio», afferma con amarezza il sindaco di Bultei, che quattro mesi dopo è stato rieletto al timone del comune del Goceano. Il suo attentato suscitò enorme sdegno, tanto da costringere il ministro Angelino Alfano a incontrare i sindaci sardi a Cagliari, ma un anno dopo è tutto come prima. «Anzi le cose sono cambiate in peggio – racconta –. Abbiamo anche rischiato di perdere la caserma, come è successo a Nule e Burgos. Per evitare la chiusura siamo dovuti intervenire e integrare il canone annuale. Lo Stato che paga lo Stato per non farlo andare via. Non è una cifra altissima, ma non per un comune come il nostro. Già dobbiamo concorrere per le scuole, il giudice di pace, ora anche per i carabinieri. Nelle nostre casse non resta nulla». Nelle parole di Fois, già minacciato di morte nel 2011 con scritte sui muri del cimitero, ci sono amarezza, delusione per come è stata gestita la fase successiva all’attentato. «I primi giorni in balìa di tutti, passata la tempesta non si è visto più nessuno. Neanche del mio Pd. L’unico sostegno è arrivato dall’Anci». Nonostante il silenzio, però, quattro mesi dopo Fois ha deciso di ricandidarsi ed è stato rieletto. «Fare questo mestiere è diventato difficilissimo, ci ho riflettuto parecchio, ma poi ho sfidato i consigli di prudenza e mi sono ripresentato».
Gian Paolo Marras, invece, ha scelto di lasciare la politica, non prima però di aver portato a termine il mandato. Era stato eletto da pochi mesi sindaco di Ottana quando, era il 24 settembre 2010, furono esplose tre fucilate contro la finestra della sua abitazione. I pallettoni bucarono i vetri, ferirono a un polso la moglie Maria Grazia, fino a sfiorare la bimba di 4 anni e ad arrivare dentro la culla del fratellino di due mesi. «Agli annunci iniziali non seguirono fatti concreti – racconta Marras –. Ricordo ancora che la Regione decise di partire da Ottana con l’esperimento pilota della videosorveglianza. Cappellacci mi convocò a Cagliari, incontrai anche la dirigente, ma poi solo silenzio. Fino a due settimane fa, quando quei fondi sono stati ripartiti tra 80 paesi. Purtroppo dal punto di vista politico non c’è stato interesse verso la situazione che si era creata a Ottana. Solo proclami di buone intenzioni. Anzi negli anni ho dovuto lottare per mantenere la caserma dei carabinieri». Marras si dimise, ma poi decise di portare avanti il mandato fino al maggio 2015. «Ma poi ho scelto di lasciare la politica, perché non era più possibile vivere sotto scorta, accompagnare il bambino all’asilo con i carabinieri al seguito. Ma anche perché è sempre più difficile amministrare un comune senza fondi».
Un altro sindaco nel mirino è Luigi Mastino, al timone di Bosa dal 2014. La notte del 20 novembre scorso sono state date alle fiamme le sue due auto. «Sono atti inqualificabili, la mia totale solidarietà a Cadau. Bisogna tenere gli occhi aperti e non aver paura di denunciare». Per Mastino, all’indomani dell’attentato, la risposta dello Stato c’è stata. «In questi mesi è stata intensificata la presenza nel territorio delle forze dell’ordine. E ne siamo soddisfatti. Lamento, invece, il silenzio delle forze politiche, al di là del momento contingente. E anche la Regione dovrebbe essere più presente. Sborsare 25mila euro per le telecamere non è facile per noi, da Cagliari avremmo voluto una maggiore sensibilità verso quei centri che si sono dimostrati più vulnerabili dal punto di vista della sicurezza. Qual è appunto Bosa».
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