La Nuova Sardegna

Boschi sardi a rischio, dopo il gelo invernale attaccati da caldo e bruchi

di Antonello Palmas
Boschi sardi a rischio, dopo il gelo invernale attaccati da caldo e bruchi

Il clima estremo mette in difficoltà le foreste: gelate, caldo e roghi i nemici. Ma a devastare c’è anche l’azione della Lymantria che divora lecci e sughere

29 agosto 2017
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SASSARI. I boschi sardi potrebbero essere impegnati in una delle annate più difficili del secolo, alle prese con gelate anomale, neve, siccità altrettanto fuori norma, incendi e le ormai consuete invasioni di insetti distruttori che in determinate condizioni rischiano di fare più danni del solito. A dirlo è Sardegna Clima, associazione onlus per lo studio e la salvaguardia ambientale che dal 2008 gestisce un portale web amatoriale rivolto ad appassionati di meteorologia e climatologia e che si è conquistata credibilità grazie alla sua rete di rilevazione composta da 20 centraline, anche in aree di montagna.

Spiega il responsabile Dario Secci, laureato in scienze naturali: «Su alcune aree si è verificata l'azione combinata di questi tre stressor». In inverno la grande nevicata del 17 gennaio ha provocato danni meccanici per il peso eccessivo della neve, spezzando grossi rami e mutilando molte piante. «La zona più colpita da questo fenomeno – dice – è il centro-nord dell'isola a quote comprese tra i 600 e i 1000 metri. Gli effetti più vistosi sono osservati nelle sugherete tra Orune, Bitti, Buddusò, Pattada e Alà dei Sardi, dove si depositò in poche ore un manto di neve superiore agli 80 cm con temperature prossime allo zero, quindi neve molto pesante».

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In primavera è stata la volta dei lepidotteri, la seconda piaga: «Ai danni della neve si sommano i danni provocati dal bruco del Bombice dispari (Lymantria dispar), un vorace defogliatore di piante forestali. Tra le specie più apprezzate dal bombice ci sono la roverella, la quercia da sughero, leccio e corbezzolo. Quando il Bombice diventa farfalla, la pianta è finalmente libera di far crescere nuovamente le foglie, ma l'apparato fogliare risulta meno strutturato e la produzione di frutti (ghiande, corbezzoli) si riduce drasticamente».

La conferma arriva dall’entomologo del Dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari, il professor Ignazio Floris: «Nei boschi in salute – spiega – il fenomeno ha un ciclo che dura una decina di anni, con 6-7 annate in cui la popolazione del bruco resta molto bassa, per poi avere un picco, che coincide con la defogliazione di alcune aree, che con i dati a disposizione siamo ormai in grado di prevedere, interessando la Regione circa il finanziamento per l’acquisto di prodotti biologici a base di un batterio, da spruzzare sulle chiome grazie all’utilizzo di mezzi aerei. Quindi il calo, dovuto alla stessa defogliazione e all’ingresso sulla scena di parassiti nemici del Bombice Dispari. Questo ciclo in aree degradate si riduce parecchio, anche a 5-6 anni, e per le piante riprendersi diviene più difficile. I danni alle produzioni, di sughero in particolare sono elevati. Certo lo stress legato al clima anomalo non aiuta».

Quindi l’estate: «Basta passare anche soltanto in auto in Barbagia o nel Logudoro per osservare un fenomeno drammaticamente esteso: interi versanti con chiazze giallo-marron come fosse autunno inoltrato. Si tratta della chioma delle roverelle, che si presentano totalmente secche» dice Secci. È uno degli effetti del grande caldo di questi mesi.

«Si tratta di una strategia di difesa della pianta, che rinuncia all'apparato fogliare per evitare perdite d'acqua per traspirazione, la quale viene concentrata nel tronco ma soprattutto nell'apparato radicale. Sofferenze evidenti anche per le specie termofile quali lentischio, olivastro, ma anche leccio e sughera, che su molte zone appaiono di un colore giallognolo o brunastro. Su alcune zone, in particolare quelle della Barbagia di Bitti e bassa Gallura, dove dominano sughere e roverelle, le piante stiano sperimentando gli effetti combinati di questi tre stressor, con una rigenerazione dell'apparato fogliare che potrebbe verificarsi per la terza volta in pochi mesi: una vera tortura. Oltre ai danni di immediato riscontro (scarsa produzione di frutti, crescita in biomassa ridotta o assente, impossibilità di estrazione del sughero), resteranno probabilmente dei segni indelebili sulle piante, che secondo alcuni autori potrebbero vedersi ridotta la loro aspettativa di vita».

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