La Nuova Sardegna

Mesina resta in carcere «È un pericolo pubblico»

di Mauro Lissia
Mesina resta in carcere «È un pericolo pubblico»

La Cassazione ha rigettato la richiesta di trasferire il bandito ai domiciliari

14 ottobre 2017
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CAGLIARI. A settantacinque anni di età Graziano Mesina è ancora un pericolo pubblico, un criminale potenzialmente in grado di delinquere ad alti livelli. A sostenerlo sono i giudici della quarta sezione della Corte di Cassazione - presidente Rocco Marco Blaiotta, relatore Emanuele Di Salvo - che lo scorso 4 maggio hanno accolto le richieste del pg Luigi Cuomo e hanno deciso di respingere il ricorso dell’avvocato Beatrice Goddi col quale si chiedeva di trasferire il celebre bandito di Orgosolo alla custodia domiciliare o di tenerlo sotto controllo con il braccialetto elettronico. I motivi della decisione, anticipati ieri dall’Ansa, non lasciano spazio alle incertezze: rinchiuso a Bad’e Carros, Mesina sconta la sentenza del 12 dicembre 2016 con la quale il tribunale di Cagliari l’ha condannato a trent’anni di reclusione dopo averlo riconosciuto colpevole di traffico di droga e altri reati. Il 12 gennaio 2017 i giudici del riesame hanno respinto il ricorso per la scarcerazione presentato dai difensori con quello che la Cassazione definisce «un apparato giustificativo adeguato ed esente da vizi logico-giuridici». Non solo: «I giudici di merito - ha scritto la Cassazione - hanno messo in evidenza la tipologia e l’entità dei quantitativi di stupefacente commerciati e delle relative somme di denaro, l’esistenza di una solida rete di contatti con pericolosi soggetti dediti al traffico di droga, la caratura dei rapporti criminali instaurati per il, traffico di un così rilevante quantitativo di stupefacente». A leggere la sentenza depositata in questi giorni, la Cassazione ha tenuto conto fra l’altro dei precedenti penali e dei «lunghi periodi di latitanza», quanto basta - a giudizio dei magistrati penali supremi - per confermare quella del carcere come unica misura cautelare possibile.

Opposto il ragionamento del difensore, che nel ricorso per Cassazione ha fatto riferimento alla legge 47 del 16 aprile 2015 e alla giurisprudenza collegata: la norma prevede che il carcere sia giustificato se il «pericolo di ricaduta nel delitto» è dimostrato in termini di «attualità e concretezza» e non di «elementi ipotetici». Di conseguenza non basta che il detenuto sia appesantito da un curriculum criminale lungo e articolato, come Mesina. Può essere privato integralmente della libertà solo se è pericoloso adesso, in relazione alla sua condizione attuale. Nel caso di Mesina poi - ha sostenuto l’avvocato Goddi - si deve ragionare anche in rapporto alla successione delle sentenze che ha segnato la sua carriera di bandito: quelle precedenti al 2016 erano state cancellate dalla grazia concessagli dal Capo dello Stato. E’ vero che quel beneficio andrà perduto con la nuova condanna, ma solo quando questa diverrà definitiva. Mesina invece è in attesa del giudizio d’appello - il ricorso è stato presentato lo scorso 24 aprile - come dire che formalmente la grazia presidenziale congela ancora oggi i precedenti giudiziari dell’orgolese. Insomma: allo stato attuale Mesina è ancora, leggi alla mano, un presunto colpevole nonostante alle sue spalle si sia lasciato un mare di delitti. Per di più i fatti al centro dell’ultima sentenza di condanna risalgono in parte al 2008, quasi dieci anni compresi quattro di carcere in cui Mesina ha mantenuto una condotta senza macchie.

In un intervento al processo di Cagliari l’ex latitante aveva osservato amaramente che qualsiasi condanna gli avessero inflitto per lui sarebbe stata una condanna a morte. Ora le sole speranze di tornare libero sono legate al processo d’appello e alla Cassazione.

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