La Nuova Sardegna

Luigi Manconi: «Il carcere a vita va abolito anche se i no sono tanti»

di Alessandro Pirina
Luigi Manconi: «Il carcere a vita va abolito anche se i no sono tanti»

L’ex senatore: “fine pena mai” anticostituzionale, ma prevale il populismo penale. Sulla morte di Trudu: ha smentito la menzogna che nessuno sconti l’ergastolo

27 ottobre 2019
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SASSARI. La morte di Mario Trudu è arrivata a poche ore dalla sentenza della Consulta che - per la prima volta - ha definito incostituzionale l’ergastolo ostativo. Una pronuncia che, nei fatti, ha dato legittimità a quanto l’ex sequestratore di Arzana, un solo permesso di due ore in 41 anni in carcere e gravemente malato, chiedeva da tempo, ovvero potersi curare in maniera adeguata fuori dalla cella. Un appello che si scontrava con le ferree regole del codice penale, accolto solo una ventina di giorni fa, quando ormai le condizioni dell’uomo, 69 anni, erano disperate. Ora la pronuncia della Consulta inietta un po’ di umanità a una pena, quella del carcere a vita, che mal si concilia con i principi sanciti nella Costituzione. Una sentenza salutata favorevolmente da chi da sempre è in prima linea nella battaglia per i diritti. Come l’ex senatore del Pd Luigi Manconi.

La Corte ha stabilito quanto lei sostiene da sempre sull’ergastolo ostativo.
«La sentenza ha affermato in maniera limpida un principio costituzionale irrinunciabile: a tutti - e dico a tutti - va data la possibilità di cambiare. La pena deve tenere conto certamente della gravità dei delitti commessi ma deve anche scommettere sulla mutabilità dell’autore dei reati».

È scritto anche nella Costituzione.
«Certo, questo è il senso dell’articolo 27 quando afferma che lo scopo della pena è la rieducazione del condannato, tant’è vero che la sentenza della Corte stabilisce che non può esservi un automatismo tra la mancata collaborazione e il rifiuto dei benefici e scommette sul fatto che qualsiasi individuo possa cambiare i propri pensieri, possa emanciparsi dal crimine, possa riconoscere i propri delitti e dunque possa integrarsi nella società e nei suoi valori. Questo processo non è necessariamente sancito dalla collaborazione con la magistratura, che per tante e diverse ragioni potrebbe non essere possibile».

Adesso cosa succederà?
«Sicuramente ci saranno altre sentenze, e poi certamente bisognerà tenere conto di un contenuto essenziale di questa pronuncia: la Consulta ha detto che il giudice deve giudicare, non può esserci un rigido meccanismo astratto, ma dovrà essere il magistrato di sorveglianza a valutare nel concreto, caso per caso e in presenza di alcune condizioni tassative, ovvero l’interruzione del rapporto con l’organizzazione criminale, il fatto che quel rapporto non venga ripreso e l’avvio di un percorso di riabilitazione. In presenza di queste condizioni tassativamente definite il giudice potrà consentire che quel condannato abbia un determinato permesso o premio. Per ora questa sentenza dice questo, vediamo se ce ne saranno delle altre».

Quando ha saputo della morte di Mario Trudu cosa ha pensato?
«Purtroppo questa notizia è non solo tragica come tutte le morti, o ancora di più perché avviene in regime di detenzione, ma smentisce anche uno dei più velenosi luoghi comuni diffusi nella società. E cioè l’idea che nessuno sconti l’ergastolo. In realtà in Italia l’ergastolo esiste eccome: gli ergastolani sono 1.400, di cui 1.100 in regime ostativo. Questo è il segno di quante menzogne vengono spacciate a proposito del carcere in Italia».

Ma oggi l’ergastolo ha ancora un senso?
«L’ergastolo è anticostituzionale, ma siccome il mio parere vale poco voglio citare quello di un valoroso pubblico ministero, notissimo per la sua opera di magistrato, Gherardo Colombo, che da anni afferma proprio questo».

Ritiene possibile che questo Parlamento possa affrontare un tema così poco popolare?
«Temo di no. Esistono anche altre ragioni - penso a chi ha un’idea autoritaria del rapporto tra cittadino e Stato o a chi ha una concezione della pena come vendetta - ma credo che a pesare parecchio sia il fatto che si tratta di decisioni che incontrano larghe ostilità tra i cittadini. Insomma, a prevalere è quello che io definisco il populismo penale».

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