La Nuova Sardegna

Delitto del lago: al via il processo d'appello per i due minori

di Enrico Carta
Manuel Careddu, ucciso l'11 settembre del 2018
Manuel Careddu, ucciso l'11 settembre del 2018

Giada Campus e Cosmin Nita, ora maggiorenni, condannati in primo grado a 16 anni per l'uccisione di Manuel Careddu

26 febbraio 2020
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GHILARZA. I primi mesi erano diversi. Così li ricorda Fabiola Balardi: «C’era il dolore enorme. C’era l’incredulità per quello che ogni giorno si scopriva di quello che avevano fatto al mio Manuel. C’erano le indagini e i processi da affrontare. Era come se ci fosse qualcosa che tenesse impegnata la mente in maniera costante al di là dell’omicidio e del pensiero inevitabile della morte. Di una morte così. Ora è tutto diverso, perché c’è il tempo per pensare e rendersi davvero conto che siamo finiti dentro qualcosa a cui ancora non si riesce a dare una sola piccola giustificazione». La madre di Manuel Careddu oggi 27 febbraio, il diciottenne di Macomer giustiziato a colpi di pala e piccozza da alcuni suoi coetanei in un terreno sul lago Omodeo l’11 settembre del 2018, torna in aula.

Lo fa ancora una volta da parte offesa, senza però poter intervenire perché alla corte d’appello per il tribunale dei minori di Cagliari, non sono ammesse parti civili. Esattamente com’era avvenuto per le udienze di primo grado, quando si è vittime si può solo assistere, stare lì seduti e ascoltare. Guardare quel che succede attorno. Così vuole il rito che giudica chi ha commesso delitti prima dei diciotto anni e poco cambia se ora, Cosmin Nita e Giada Campus, i due imputati – di Ghilarza e Abbasanta – di questa tranche processuale siano maggiorenni. Poco cambia se in carcere hanno fatto il passo verso quella che la legge considera l’età della maturità. Quando si unirono al resto della banda per commettere quello che le cronache hanno chiamato Il delitto del lago, i diciott’anni li aspettavano ancora.

È passato del tempo da allora e i due giovani imputati l’hanno trascorso tutto in carcere, eccetto i giorni immediatamente successivi alla sparizione di Manuel, che all’inizio era solo una persona scomparsa, sebbene i dubbi su qualcosa di molto più grave si fossero affacciati sulla mente di molte persone sin dal primo istante. Sin dal momento in cui il telefonino del ragazzo, sceso dal pullman di rientro da Oristano alla stazione di Abbasanta, non è più raggiungibile la sera dell’11 settembre. Quella stessa sera il ragazzo fu ucciso.

I primi mesi i due ragazzi domani a processo li hanno trascorsi in custodia cautelare. Da luglio scorso sono reclusi in istituto con una condanna in primo grado alle spalle. Sedici anni gli hanno dato i giudici, mentre ai loro tre complici è andata peggio, ma Christian Fodde, Riccardo Carta e Matteo Satta di anni ne avevano poco più di venti quando parteciparono con vari ruoli al delitto. Per loro, al termine del rito abbreviato, il giudice per le udienze del tribunale di Oristano ha stabilito le pene in trent’anni per i primi due imputati e sedici anni e otto mesi per il terzo dei maggiorenni coinvolti.

Quella del processo d’appello per i maggiorenni è però una pagina ancora relativamente lontana da venire. Sarà un discorso dei prossimi mesi perché l’udienza non è ancora stata fissata. Corre più spedito invece il processo per i minori con la prima udienza d’appello già fissata per domani e la seconda, quella in cui probabilmente arriverà la sentenza, che si terrà a maggio. E Fabiola Balardi intanto attende: «Le condanne non hanno sopito il mio dolore, il mio senso di vuoto. Non possono bastarmi cinque condanne. Io Manuel non ce l’ho più, loro sanno dove sono i loro figli e sanno che, prima o poi usciranno dal carcere. Mi resta solo da sperare – conclude la madre di Manuel – che le sentenze di appello non siano più morbide di quelle di primo grado».

Sono le parole di una madre che ha perso il suo amore più grande. In tribunale parleranno ancora una volta la procedura e gli atti, a cominciare da quelle intercettazioni all’interno dell’auto di Christian Fodde dove, già mesi prima del delitto del lago, era presente una microspia grazie alla quale i cui i carabinieri scoprirono, quasi in tempo reale, quel che i giovani assassini avevano appena compiuto.

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