La Nuova Sardegna

Covid e green pass, il costituzionalista: «Le limitazioni sono legittime per tutelare la salute pubblica»

Roberto Petretto
Covid e green pass, il costituzionalista: «Le limitazioni sono legittime per tutelare la salute pubblica»

Parla Omar Chessa: «Attenzione a misure paternalistiche». Licenziamento dei docenti? «La Regione non è competente a legiferare»

25 luglio 2021
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SASSARI. Medici, infermieri, docenti: la platea delle categorie a rischio sanzioni in caso di rifiuto della vaccinazione anticovid è vasta. ma le minacce di licenziamento e di altre conseguenze sono basate su un serio fondamento giuridico? Lo abbiamo chiesto a Omar Chessa, professore ordinario di diritto costituzionale all’università di Sassari.

L'assessore regionale Biancareddu, in una intervista alla Nuova, ha detto che i docenti che non si vaccineranno potrebbero perdere il lavoro. È una minaccia realistica?

«Dipende dalle scelte future del legislatore statale. Di sicuro, quello regionale non sarebbe competente a legiferare in materia di stato giuridico dei professori (sia di scuola che universitari). Il dato interessante è che una tesi analoga è sostenuta dal prof. Ichino, ma con riguardo ai lavoratori dipendenti del settore privato. Tuttavia, pure in questo caso manca la base legislativa. Certo, Ichino fa presente che l’art. 2087 del Codice Civile prescrive al datore di lavoro di «adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro». Ma è pure vero che l’obbligo di licenziamento per chi non si vaccina deve essere previsto espressamente e non può certo rientrare implicitamente tra le “misure” cui si richiama la vaga formulazione del testo legislativo citato. Peraltro, la ratio cui esso risponde è quella di obbligare il datore al perseguimento di finalità “sociali” a tutela dei lavoratori e non già quella di riconoscergli un potere di licenziamento esercitabile a piacimento sulla base di presupposti indeterminati».

Come si concilia il diritto alla salute con quello alla libera scelta?

«Faccio anzitutto presente che non si possono contrapporre in maniera frontale i due diritti soggettivi, perché la stessa disposizione costituzionale che sancisce la tutela della salute, l’art. 32, garantisce anche la libertà di rifiutare i trattamenti sanitari e quindi pure le vaccinazioni. Infatti, per la Costituzione «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». Sicché, in assenza di puntuali obblighi legislativi, prevale sempre la libertà di scelta. Altra questione è sino a che punto il legislatore possa comprimere questa libertà in nome della salute. Tutti i tribunali costituzionali affermano che il bilanciamento tra beni costituzionali contrapposti deve essere coerente col canone della ragionevolezza. Ma questo giudizio non si può condurre in astratto, bensì avendo riguardo di volta in volta alle scelte legislative concretamente compiute.

Un discorso simile, ma con differenze sostanziali, riguarda i medici e in genere il personale sanitario. In questo caso che rischi, corrono dal punto di vista disciplinare e legale, i medici che si rifiutano di sottoporsi al vaccino?

«Sappiamo che sul punto pendono numerosi ricorsi nei Tar d’Italia e nelle prossime settimane vedremo come saranno decise le diverse ipotesi prospettate. Mi sembra di poter dire, però, che difficilmente potrà essere riconosciuta la pretesa di alcuni medici di non vaccinarsi e, allo stesso tempo, di conservare integro il contatto professionale con i pazienti. Quanto alle altre conseguenze, bisogna vedere quali determinazioni assumerà il legislatore nei prossimi tempi».

A proposito di limitazioni alla libertà, o presunte tali, la formula adottata in Italia per l'uso del green pass la convince?

«Già nella sua prima sentenza del 1956 la Corte costituzionale affermò che tutti i diritti inviolabili «nascono limitati». Anzitutto, essi si limitano reciprocamente. E poi subiscono legittimamente le limitazioni che derivano dalla necessità di garantire altri interessi di rango costituzionale, tra i quali figura pure la salute pubblica. Per questo motivo non mi sorprende né scandalizza la previsione legislativa di condizionare lo svolgimento di alcune attività al possesso della “certificazione verde Covid-19”, purché, ovviamente, ciò sia strettamente funzionale alla tutela della salute collettiva e si articoli in misure ragionevolmente proporzionate all’obiettivo perseguito».

Ma il green pass, o “certificazione verde”, soddisfa questi requisiti?

«Per rispondere bisogna preliminarmente chiedersi se sia veramente uno strumento pertinente rispetto allo scopo di assicurare il bene costituzionale della salute pubblica: è chiaro che se la risposta fosse negativa, la “certificazione verde” sarebbe una misura irragionevolmente restrittiva delle nostre libertà. Ebbene, è risaputo che anche i vaccinati in possesso del certificato possono essere un veicolo di contagio, sicché la vera funzione del green pass sembra essere solo quella di proteggere la salute di chi non ha ancora fatto il vaccino (o che non vuole farlo). L’obiettivo è lodevole, ma la misura sembra paternalistica: se chi non ha voluto immunizzarsi vuole comunque circolare liberamente a proprio rischio e pericolo, perché impedirglielo? Certo, se si ammala, è un costo per la collettività: ma sono un costo anche tutti coloro che si ammalano perché decidono di non smettere di fumare o di bere. Dove sta la differenza?»



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