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Franco, fischietto da record: mille partite e non è finita

di Paolo Ardovino
Franco, fischietto da record: mille partite e non è finita

Originario di Padru, ha 70 anni e da 40 fa l’arbitro di calcio in Germania. «Ho iniziato dopo un battibecco con un direttore di gara e non ho più smesso»

08 gennaio 2022
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OLBIA. «Arbitro ma cosa fischi? Se mi ci metto sono più bravo io»: più o meno così, con l’irruenza della giovane età, Franco Giagheddu si era rivolto all’arbitro di una partita di tanti anni fa. Ma ha mantenuto la promessa, ha iniziato davvero a frequentare i corsi ed è diventato un arbitro di calcio. La sua storia da direttore di gara è cominciata in questo modo, e il protagonista ancora ride per l’aneddoto. Oggi Franco – originario di Padru e trasferito in Germania da ragazzo, dove ha lavorato per una azienda di autobus – a 70 anni è ancora in attività e ha tagliato un grande traguardo: ben mille partite arbitrate in carriera.

Ci provo io. Franco Giagheddu parla dalla sua casa di Ulm, cittadina a metà tra Stoccarda e Monaco, e guarda la neve fuori dalla finestra. A novembre ha diretto l’ultimo match del 2021 e gli è stata conferita una targa speciale per le 1000 gare arbitrate nella federazione tedesca. Un record non di poco conto che nasconde al suo interno i mille sottotesti che raccontano piccole storie, scontri, conoscenze, esperienza sul campo. «Qui rispetto all’Italia il sistema per diventare arbitro è diverso, si può iniziare da giovani e mentre ancora si è calciatori – come accaduto a Franco Giagheddu stesso –. Come ho cominciato? Fa ridere, lo so: prendendomela contro un arbitro che, secondo me, in una partita aveva sbagliato tutto. Chiaramente era un giudizio personale, però in quel momento pensai che al suo posto avrei potuto far meglio». Ma non era un modo di dire. Franco si è preso in parola: «Ci ho provato, nel 1982 ho frequentato il corso e poi da lì è iniziata la carriera». «Ho fatto anche il guardalinee, ma non mi piaceva: c’erano partite in cui non succedeva nulla per 85 minuti e negli ultimi 5 invece accadeva di tutto, un incubo». Un anno fa è finito su un giornale tedesco per un piccolo divertente episodio: era a una partita in qualità di responsabile degli arbitri, seduto in tribuna, ma un guardalinee in gara si era infortunato e hanno chiamato proprio lui a prendere il suo posto. Bandierina in mano in una gara di Regionalliga, la nostra serie C.

Una vita col fischietto. Qualche anno fa Pif dedicò una puntata speciale de “Il testimone” alla figura degli arbitri, «gente folle, che ama svegliarsi presto la mattina, passare 90 minuti dentro un campo di calcio a prendersi insulti e tornare la sera felici di aver fatto quello che si è fatto, perché anche se sei l’arbitro più bravo al mondo almeno un vaffa te lo prendi, di sicuro. La ovvia domanda è: perché?» Franco Giagheddu sorride, parla di passione e unisce l’esperienza sportiva alla crescita personale. Può sembrare strano, ma è proprio una sorta di amore per il confronto. In carriera, Franco ha arbitrato in diverse categorie dilettantistiche; superati i trent’anni non è più possibile salire di livello, ambire magari alla Bundesliga, l’equivalente della nostra Serie A, ma lui ha continuato comunque. E il calcio all’ombra dei riflettori sa essere molto più duro rispetto alle partite da tv e riviste patinate. «Qui ci sono tante nazionalità, mix di culture e mentalità in cui devi inserirti – racconta – e poi si sa che per i giocatori sbagli in ogni caso, ma loro non conoscono certe regole. Il primo a giudicarti sei tu, spesso sei ben consapevole degli errori commessi. Se un calciatore ha una giornata storta viene sostituito, tu no, bisogna continuare. Dimentica gli errori e vai avanti. Le espulsioni? Sul perché sei dovuto arrivare a tanto ci pensi, se è stato un fallimento tuo o una scelta inevitabile. Molte volte non resta che farlo per le reazioni aggressive, succede spesso per gli scontri tra culture diverse».

Calcio specchio del mondo. Franco fa due letture del suo essere arbitro: una più intimista, autovalutazione di se stesso; l’altra quasi sociologica. Il calcio come specchio della società. «Devo tornare al discorso delle nazionalità: si arriva a pensare che certe decisioni arbitrali siano prese perché si è contro le origini dei giocatori». Se deve indicare la partita più brutta della sua carriera cita quella tra due formazioni giovanili, una interamente tedesca e l’altra turca, dove ha dovuto tirare fuori ben tre cartellini rossi. «Dall’altra parte, le belle soddisfazioni sono quando, finita la partita, puoi sederti e parlare con i dirigenti delle società che hanno perso. Hanno accettato che non era mica colpa tua».

Quota mille. 1000 partite arbitrate sono un’enormità. Pierluigi Collina, uno dei direttori di gara più longevi e riconosciuto come il migliore al mondo, ne ha fischiate meno di 500. «Il modo di giocare è cambiato col tempo, ora è dinamico e veloce, bisogna prepararsi bene. Una volta al mese abbiamo i raduni e ci si confronta molto, si guardano video e situazioni nuove». Bisogna fare i conti con lo stress: «Con la pressione cresce, arbitrare una partita tra prima e seconda in classifica o un derby ti stimola a essere più attento e a correre di più». E tra arbitro, assistenti e guardalinee si fa squadra. Come funziona? «In campo frasi brevi, talvolta parole o gesti-chiave. Prima di ogni gara si parla per capire l’entità della sfida, le caratteristiche delle squadre, poi all’intervallo si fa il punto e a fine partita ci si confronta con l’osservatore degli arbitri» che al triplice fischio dà il voto come a scuola. «Non lo so se quell’arbitro di tanti anni fa avesse davvero sbagliato come credevo io, ma certo è che stare al suo posto fa capire molte cose che da fuori non si vedono».



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