La Nuova Sardegna

Il piccolo obolo dello Stato per i medici morti sul campo

di Simonetta Selloni
Il piccolo obolo dello Stato per i medici morti sul campo

La moglie del primo dottore vittima del virus nell’isola: «Cosa volete che sia?»

22 febbraio 2022
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NUORO. I conti li ha fatti Luciana Littizzetto a “Che tempo che fa”. Il Governo, nei giorni scorsi, ha stanziato quindici milioni di euro per risarcire le famiglie dei professionisti della sanità morti per Covid. Una decisione applaudita da molti, anche se poi, fatti conti, si tratta di pochi soldi. Sempre che sia quantificabile col danaro il dolore di un lutto. Poco meno di 400 croci, fanno circa 38mila euro a famiglia. «Cosa vuole che sia? Vite spezzate, non solo di chi è mancato. C’è la tragedia di chi resta, ma siamo uno Stato sociale sfiancato, pieno di debiti, licenziamenti. Evasione fiscale». Dice così Rita Farci. Cagliaritana, è la vedova di Nabeel Khair, medico palestinese di nascita, sardo per scelta, il primo medico morto per Covid in Sardegna, guardia medica ad Aritzo, medico di base a Tonara. Aveva 62 anni.

8 aprile 2020. «Stava malissimo, dolori in tutto il corpo, la pelle che bruciava. Lo diceva: è il Covid. Aveva ragione», racconta Rita che è medico anche lei. Era l’8 aprile 2020, il virus azzannava un mondo impreparato, compreso quello scientifico e sanitario. «Sono venuti a prenderlo in casa il 17 marzo. Non l’ho neanche salutato, ero in condizioni terribili anche io. L’ho sentito un attimo al telefono, qualche giorno dopo. Mi ha detto: “Rita, mi devono intubare”. E poi più nulla, se solo mi fossi resa conto della gravità della situazione... Invece non l’ho nemmeno potuto vedere più né accompagnare al funerale».

Camice, famiglia e Palestina. Rita Farci è andata in pensione il primo maggio «22 giorni dopo che è morto mio marito». Nabeel tutti lo chiamavano Nabil, che poi è come si pronuncia il nome. Nabil, quindi, nella sua vita poteva annoverare sotto la voce era, un lungo elenco di cose. Nato a Beit Saur, non lontano da Betlemme, arrivato in Italia negli anni 80: università di Roma, Medicina, dove incontra Rita; la Palestina sempre e ovunque, con incarichi importanti: vice presidente dell’Unione comunità palestinesi in Europa. Lui e Rita si stabiliscono a Quartu, hanno tre figli. E Nabìl fa una scelta, precisa: per raccontare al mondo il dramma del popolo palestinese, decide di esercitare come guardia medica in Barbagia – e poi medico di base – rinunciando a un posto da strutturato all’ospedale di Nuoro, che avrebbe significato un impegno totalizzante. Questo non gli impedisce di immergersi nella terra che aveva scelto per vivere e per esercitare: e infatti in Barbagia Mandrolisai era di casa, un omone buono, gentile, disponibile. Un uomo di pace.

Ammalati insieme. I primi di marzo 2020. Nabeel e Rita si sentono male. Sono entrambi medici, ma Rita non vuole pensare al Covid. Non subito almeno. Nabìl è più concreto. «Stavamo malissimo entrambi. Io ero in ferie, lui era stato al lavoro. Il Covid lo ha preso lì: allora era anche difficile proteggersi. Siamo stati a letto giorni, con la sola assistenza di mia figlia tornata da Londra proprio per noi. Abbiamo provato a contattare l’Ats senza riuscirci. Poi finalmente il nostro medico di base è riuscito a segnalarci».

Nessuna recriminazione. «Era un momento di grande confusione. Non si sapeva molto del Covid. Certo, chi parla ancora oggi di una banale influenza davvero non sa quel che dice. Nabìl è morto così, la situazione è precipitata senza che potessimo rendercene conto. Ma non si può recriminare, mio marito è stato curato al meglio con le conoscenze che c’erano in quel momento». Intanto, la sua assicurazione professionale gli ha finora negato il risarcimento, sostenendo che non abbia contratto il Covid sul lavoro.

Ad Aritzo per l’anniversario. «Era pieno di vita, instancabile. La causa palestinese era il suo primo pensiero. Ha fatto, abbiamo fatto progetti fino alla fine, dovevamo portare a termine tantissime cose, e invece si è tutto fermato» . Ora le ceneri di Nabìl sono a casa loro. «Ma sto aspettando che sia pronta la tomba di famiglia, dove mio marito riposerà accanto a Jasmine, nostra figlia, morta nel 2014. Lui avrebbe voluto così. L’8 aprile ricorderemo Nabìl ad Aritzo, nella sua comunità di adozione, dove gli volevano bene e lui era di casa. Cosa mi manca di lui? Cosa vuole che dica. Tutto. Era energia, fuoco, pieno di vita. Era la mia vita».

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