La Nuova Sardegna

Medio Oriente

L’Afghanistan è ancora una polveriera

Nicolò Migheli
L’Afghanistan è ancora una polveriera

. Quello che preoccupa le cancellerie mondiali è che Al Qaeda ha un potere che non ha mai avuto - IL COMMENTO

04 luglio 2022
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Gli accordi di Doha tra Usa e talebani del 2020 si basavano su due illusioni. La prima che il governo pro occidentale di Kabul avrebbe retto senza l’apporto americano e Nato per il tempo necessario per un ritiro ordinato; il secondo che i talebani non erano più quelli di una volta e avrebbero costituito un governo inclusivo di tutti i gruppi e delle realtà afghane. Il ritiro precipitoso dell’agosto scorso mostrò una verità differente.

Gli Usa per premere sul nuovo governo congelarono 7 miliardi di dollari di aiuti. L’Fmi bloccò 440 milioni al fine di non privare le donne afghane dei diritti fondamentali. Durante tutti questi mesi, la situazione alimentare della popolazione è precipitata. Il Programma Alimentare Mondiale dell’Onu, rimasto a Kabul, parla di una crisi umanitaria senza precedenti. Secondo loro, metà della popolazione avrebbe bisogno di aiuto. Per Asia News, la carestia è alle porte. Il governo talebano, continua ad essere riconosciuto solo dal Pakistan, mentre tutti i suoi vicini, Cina e Russia compresi, si guardano dal farlo. Benché i cinesi siano presenti in una parte dell’ex base americana di Bagram. Il motivo è l’instabilità del Paese con molti gruppi terroristici stranieri. I più importanti: Stato islamico del Khorasan, Al Qaeda, i movimenti del Belucistan e gli uiguri cinesi. Il 29 aprile, cinquanta persone sono morte in attentato in una moschea della minoranza sunnita Zikri, il giorno precedente 9 sciiti sono periti in un attacco a una moschea di Mazar-i-Sharif. Il Fronte nazionale di Resistenza di Ahmad Massoud, che sembrava sconfitto, nelle settimane scorse ha compiuto un attacco dimostrativo nella sua valle del Panschir causando centinaia di vittime tra i talebani. Quello che preoccupa però le cancellerie mondiali è che Al Qaeda ha un potere che non ha mai avuto. Sirajuddin Haqqani, affiliato al gruppo terroristico jihadista è diventato ministro dell’Interno. Lui è figlio di un’araba che aveva seguito Osama Bin Laden in Afghanistan. Tra la tribù degli Haqqani e i jihadisti i rapporti sono sempre stati ottimi, pare che ci siano stati 300 matrimoni tra i due gruppi. Per loro avere il ministro dell’Interno significa non solo libertà di manovra, ma la possibilità di accedere ai dati della popolazione, avere passaporti e poter sconfiggere i nemici della Stato islamico, senza comunque dimenticare la loro missione storica di unificare la Umma sotto le loro bandiere. I vicini preoccupati si sono incontrati in una due giorni a Dushambe in Tagikistan. All’incontro hanno preso parte i Consiglieri della Sicurezza nazionale di Russia, Cina, India, Iran, Uzbekistan, Kyrgyzstan e il paese ospitante. Mancava il Pakistan che si illude, stanti i rapporti storici, di poter controllare Kabul. In realtà date le divisioni in seno ai gruppi talebani, è opera complicata. 20 anni dopo, miliardi di dollari spesi, l’Afghanistan è ritornato in mano ai talebani di sempre. Lo dimostra la condizione femminile. Secondo Richard Bennett, il relatore speciale dell’Onu sui diritti umani in Afghanistan, i talebani mirano a rendere invisibili le donne. Per decreto voluto dal leader radicale Hibaituillah Akunzada, le donne non dovrebbero uscire di casa, a meno che non sia necessario; se qualcuna viola il codice, gli uomini della famiglia verranno puniti. L’istruzione è limitata alle scuole primarie, le donne in pubblico dovrebbero indossare l’abbigliamento islamico più restrittivo, non necessariamente il burka. Questa pare già una concessione. Akunzada non si allontana mai da Khandar, la sede storica talebana, teme per la sua vita. Provvedimenti che costituiscono motivo di scontro tra la corrente radicale e quella pragmatica del movimento. I secondi sono consapevoli che su questi temi si gioca l’appoggio degli altri Paesi islamici. Le donne dopo 20 anni di relativa libertà protestano duramente. Può darsi che da loro nasca il nuovo Afghanistan. Questa volta senza democrazia imposta.
 

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