Burocrazia lenta

Ristori mai arrivati, un olivicoltore: «Dopo gli incendi del 2021 a Cuglieri tanti si sono arresi»

di Andrea Sini
Ristori mai arrivati, un olivicoltore: «Dopo gli incendi del 2021 a Cuglieri tanti si sono arresi»

Francesco Ponte: «Tante promesse non mantenute»

25 aprile 2023
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Cuglieri «Piangersi addosso in questo momento è la cosa più sbagliata, ma tante promesse non sono state mantenute e oggi non c’è da stupirsi se molte persone hanno deciso di alzare bandiera bianca». Francesco Ponte, 62 anni, una vita trascorsa in campagna, smonta dal trattore esausto al termine dell’ennesima giornata di lavoro.

Il suo pascolo, a poca distanza dal centro abitato di Cuglieri, ha ripreso vita grazie all’impegno quotidiano, ma sul fronte dell’olivicoltura il rogo del luglio 2021 brucia ancora. Quello che era il fiore all’occhiello del Montiferru è ancora irriconoscibile.

«E forse non tornerà mai più come prima – dice sconsolato l’allevatore e imprenditore agricolo –. Per quanto riguarda gli hobbysti pare che le notizie siano buone, si dice che i ristori siano in dirittura d’arrivo. Anche nel settore della zootecnia è stato saldato qualcosa, ma per quanto riguarda il ripristino degli oliveti, cioè la vera forza che questa zona aveva, è ancora tutto fermo».

Questa situazione di empasse, ha un doppio effetto negativo. «Più tempo si perde, più tardi le nuove colture inizieranno a dare i loro frutti. Io per fortuna non ho avuto danni alle bestie e alle scorte, e ho deciso di rimettere a dimora 100 delle circa mille piante che avevo perso nell’incendio – dice ancora Francesco Ponte –. Ho scelto di ri-innestare le piante, altri hanno scelto di ripartire con le vecchie radici, soprattutto dove c’è poca accessibilità o pendenza. Seguendo le tecniche più moderne entro 3-4 anni dovrei riuscire ad avere le prime olive, altrimenti ci vorrà un decennio. Di certo per rivere gli oliveti come erano sino a due anni fa serviranno secoli. E poi c’è l’altro aspetto negativo, oltre all’attesa necessaria perché le nuove piante crescano: chi se lo è potuto permettere ha provato comunque a ripartire, ma c’erano tantissimi piccoli produttori che hanno licenziato gli olivicoltori in tronco e hanno deciso di non ripartire. Non se la sentono di rischiare e il loro non è un discorso campato in aria: investire 50 mila euro per ripartire, per il solo piacere di avere una provvista d’olio in famiglia non vale assolutamente l’investimento e la fatica».

La forza del Montiferru era infatti quella di avere un numero enorme di appezzamenti e di produttori, piccoli, medi e grandi. Un sistema virtuoso che si autoalimentava sulla base di tre punti di forza: la presenza di piante secolari in grado di dare frutti di altissima qualità, la grande tradizione locale e una buona base di integrazione del reddito grazie al conferimento verso produttori più grandi. Tutti coltivavano, anche per meri motivi affettivi; traevano parte del proprio fabbisogno e avevano anche qualcosa commerciare, senza considerare l’indotto legato alla pulizia dei terreni e alla raccolta. Allo stato attuale, andati in fumo migliaia di alberi, si è conservato solo il secondo elemento, ovvero la tradizione, non sufficiente a ricreare da solo il circolo virtuoso un tempo esistente.

«L’associazione Montiferru è molto attiva sia con gli olivi che con le piante da frutto – precisa Ponte – ed è giusto sottolineare che la grande solidarietà e generosità provenienti dall’esterno si sono sentite, eccome. Le raccolte fondi destinate a comuni e associazioni del territorio sono arrivate a destinazione e hanno fatto davvero bene. La situazione però qua è molto critica, dopo mille promesse i ristori veri non sono arrivati e soprattutto da parte delle istituzioni non c’è stato un aiuto sostanziale. Chi può si rimbocca le maniche, ma tanti hanno mollato».


 

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