Lo strapotere di Erdogan a rischio
Erdogan viene dato al 45%, mentre lo sfidante Kemal Kiliçidarolu al 55%. Per la prima volta tutta l’opposizione dalla destra alla sinistra è unita contro Erdogan
Il 14 maggio in Turchia si voterà per l’elezione del presidente della repubblica e per il rinnovo della Grande Assemblea Turca. Se uno dei due contendenti non avrà la maggioranza del 51%, il 28 maggio si andrà a ballottaggio. Voteranno 60 milioni di elettori tra cui 7 milioni di giovani per la prima volta e che non hanno conosciuto altro potere che non sia quello di Recep Erdogan. Un quinto degli elettori nella fascia di età tra i 18 e 25 anni, secondo i sondaggi, non andrà al voto. Rilevazioni che danno il 40% per la coalizione al potere e il 42 per l’opposizione. Se i due contendenti sono testa a testa, non è così per i candidati presidente. Erdogan viene dato al 45%, mentre lo sfidante Kemal Kiliçidarolu al 55%. Per la prima volta tutta l’opposizione dalla destra alla sinistra è unita contro Erdogan. Lo scontro non è solo politico.
Allo sfarzo di Recep si oppone la frugalità di Kemal che ha postato video che lo ritraggono nella sua cucina piccolo borghese con mobili anni ’70, mentre cucina con la moglie giornalista che non indossa il velo, a differenza della signora Erdogan. Kiliçidarolu negli anni è riuscito a cambiare il partito kemalista, portandolo da posizioni nazionaliste a quelle socialdemocratiche, tanto che dopo una marcia che attraversò la Turchia, venne soprannominato il Ghandi turco. Le consultazioni di quest’anno sono le più importanti degli ultimi decenni. Sembrerebbe che dopo 20 anni, la modifica in senso presidenziale della costituzione, le ampie repressioni degli oppositori, di scrittori e giornalisti a seguito del misterioso golpe del 15 luglio 2016, Erdogan non sia più nei cuori dei suoi concittadini. Il patto autoritario che li legava non ha retto alla grave crisi economica, a una inflazione ufficiale del 50% - viene stimata il doppio-, a una svalutazione della lira del 70% rispetto al dollaro; all’afflusso di rifugiati non più ben visti come all’inizio della guerra civile siriana. In più un disastroso terremoto di quest’anno che ha causato 50 mila morti e 100 miliardi di dollari di danni. Soldi che la Turchia non ha e che dovrebbe chiedere alla comunità internazionale.
Il presidente non è riuscito in questi anni a riappacificarsi con i curdi, accusati tutti di terrorismo. Ha incarcerato Selahattin Demirtas parlamentare e leader del partito curdo Hdp, rifiutandosi di liberarlo dopo l’ordine impartito dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo. Kiliçidarolu è riuscito in un’opera che sembrava impossibile, coalizzare tutti contro il sultano. Se dovesse vincere promette di ristabilire il parlamentarismo, di liberare i detenuti politici seguendo le indicazioni del tribunale europeo, di operare riforme in senso democratico, così come richiesto dalla procedura di adesione alla Ue. Kemal sostiene che le farebbe comunque, anche se non vi fosse l’adesione all’Unione.
In campo internazionale vi è molta attesa per queste elezioni. Lo stesso Biden ha detto nel novembre scorso di appoggiare Kiliçidarolu, tanto che gli erdoganiani sostengono che se dovesse essere eletto il repubblicano, ci si troverebbe davanti a un golpe ispirato dagli Usa. La domanda che si fanno nei circoli diplomatici è se la nuova Turchia cambierebbe la sua postura nei confronti della Russia. Kiliçidarolu non ha dato segni che facciano pensare a una correzione di rotta. Quasi sicuramente non si unirà ai 75 Paesi che hanno stabilito sanzioni verso la Russia; lui ha appoggiato la mediazione turca sulla vicenda del grano ucraino. I rapporti tra Mosca e Ankara sono di lunga durata, già negli anni ’30, l’Urss diede una mano importante per l’industrializzazione post ottomana. La Russia è il maggior cliente dei prodotti agricoli turchi e il maggior Paese nei flussi turistici. Istanbul è piazza finanziaria per gli oligarchi e in quest’anno ha visto una grande immigrazione russa. Lo scontro è interno tra democrazia e autoritarismo; meno però sulla politica estera, che con i kemalisti avrà aggiustamenti. Tenendo però una continuità con gli ultimi vent’anni.