La Nuova Sardegna

Decreto Caivano

«Il disagio dei minori è in aumento, inasprire le pene non è la soluzione»

di Silvia Sanna
«Il disagio dei minori è in aumento, inasprire le pene non è la soluzione»

La procuratrice di Sassari Luisella Fenu: «I reati devono essere prevenuti. Occorre potenziare la rete capace di captare i segnali e rieducare i più giovani»

10 settembre 2023
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Sassari Il disagio c’è, è sempre più diffuso e si manifesta attraverso una serie di segnali che rappresentano veri e propri campanelli d’allarme: intercettarli e agire subito è la strategia per evitare la fase successiva, quella in cui il disagio si traduce nella commissione di un reato. Prevenire dunque, e non inasprire il sistema: «Perché quest’ultima non può essere una soluzione per contrastare la criminalità minorile, fondamentale e utile è puntare sulla prevenzione». La procuratrice del Tribunale dei minori di Sassari Luisella Fenu, competente anche per i territori delle Procure di Tempio e Nuoro, commenta il recente decreto approvato dal Consiglio dei ministri contenente una serie di misure fortemente repressive verso la criminalità minorile: per esempio, carcere più facile per i minorenni, daspo dai 14 anni, arresto in flagranza per spaccio di lieve entità e per reati prima non previsti per ragazzi tra 14 e 18 anni, insieme all’ammonimento da parte del questore già a partire dai 12 anni e la possibilità da parte dello stesso questore di chiedere al tribunale di disporre per il minorenne il divieto di utilizzo di telefoni cellulari e altri dispositivi. Ma il decreto chiama fortemente in causa anche le famiglie, disponendo la possibilità di arresto per i genitori o tutori di ragazzini che non vanno a scuola.

«Anche in questo caso ci sono strumenti che permettono di anticipare l’intervento sulla famiglia e sui ragazzi già nella fase della scuola media, dunque ancora prima che i ragazzi compiano 14 anni. Si tratta delle misure amministrative ex articolo 25, molto utilizzate dalle due Procure dei minori della Sardegna – dice Luisella Fenu – Per esempio la misura delle prescrizioni permette di intervenire sui comportamenti-reato non particolarmente gravi ma che rappresentano segnali sulla eventuale e futura progressione criminosa: si stabilisce che i ragazzi e la famiglia tengano certi comportamenti, che il minore vada a scuola e non esca dopo una certa ora, che non frequenti determinati ambienti». Non solo: il giudice può prescrivere che il minore a rischio sia iscritto a corsi di legalità e ad attività di riparazione con la vittima. Ma per fare tutto questo è necessario creare una rete sentinella, composta da vedette pronte a percepire il problema e ad agire prontamente: «Per raggiungere l’obiettivo è prioritario potenziare i servizi sociali territoriali e i servizi minorili della giustizia, con incremento del numero degli educatori – spiega la procuratrice Fenu – chiamati appunto a educare, aiutando i minori ad acquisire consapevolezza delle proprie azioni e delle conseguenze». Una consapevolezza che molto spesso non c’è e che deriva dalla giovanissima età in cui la personalità è ancora in fase di formazione. Un esempio arriva dal web, dalle piattaforme social alle quali i minori hanno accesso sempre più precocemente e il cui utilizzo agevola la commissione di moltissimi reati, come diffusione di immagini o video, bullismo e cyberbullismo: «Quasi sempre i giovanissimi responsabili di questi comportamenti sono totalmente inconsapevoli della valenza dell’azione e mostrano scarsa empatia per le vittime. Non si rendono conto del danno che possono provocare perché non sono stati educati a un utilizzo corretto degli strumenti e al rispetto degli altri. Su questo è importante insistere». E le Procure lo fanno, come conferma, in parallelo all’aumento delle misure cautelari del collocamento in comunità ed in carcere, anche l’aumento delle misure della prescrizioni. In un approccio che vede la custodia cautelare come extrema ratio, anche nel caso di reati gravi: «Già prima di questa eventuale riforma che prevede l’abbassamento della soglia per applicazione della misura cautelare in carcere da 9 a 6 anni, la soglia dei 9 permetteva il collocamento in carcere per reati gravi e non solo per l’omicidio, quali i reati di violenza sessuale e violenza sessuale di gruppo, rapina ed estorsione, maltrattamenti in famiglia: per questi reati – conclude la procuratrice Fenu – è prevista una pena massima alta che permette il collocamento in carcere o in comunità. Ma dal momento che in gioco c’è la privazione della libertà personale, è necessario tenere conto di molti aspetti e variabili, come il contesto sociale di provenienza, la presenza o meno della famiglia. La finalità deve essere sempre quella di favorire un processo di reinserimento e inclusione, l’obiettivo di chi lavora con i minori è integrarli, non escluderli».

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