La Nuova Sardegna

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«L’anestesia? Lavori a gettone e diventa un enorme business»

di Luigi Soriga
«L’anestesia? Lavori a gettone e diventa un enorme business»

Alberto Becciu recluta professionisti per gli ospedali lombardi

28 ottobre 2023
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Sassari Un tempo era l’anestesista prigioniero del chirurgo. Quest’ultimo dettava l’agenda, e l’altro si presentava puntuale in sala. Ora è il contrario: è il chirurgo ostaggio dell’anestesista. Se l’anestesista è disponibile, l’intervento si fa, altrimenti la sala rimane chiusa.

Anche in sanità vale la legge economica della domanda e dell’offerta: pochi ed estremamente richiesti. Dal covid in poi, gli anestesisti hanno un potere contrattuale enorme. E una professione mal pagata, usurante e difficilissima, ora è diventata uno straordinario business. Alberto Becciu, algherese, 49 anni, dal 2021 ha fatto il salto di qualità.

In cosa consiste il suo lavoro?

«Dopo una lunga gavetta, sono diventato un libero professionista. Lavoro a “gettone”, offrendo prestazioni a 130 euro all’ora. Un anestesista può arrivare a guadagnare anche dai 2400 ai 3mila euro lordi al giorno. Io sono uno dei medici che lavora di più in Italia, con una media di 3800 ore all’anno».

Ma questa è solo una parte della sua attività.

«Il covid ha dato il colpo di grazia a una professione già in grande sofferenza. La vecchia guardia era disorientata, molti hanno scelto la pensione anticipata. Altri sono morti negli ospedali, i giovani stanno alla larga dalle nostre scuole di specializzazione. Così gli anestesisti sono diventati merce rarissima. Io lavoravo nella sanità lombarda, e anche in questo scenario le sale operatorie restavano sguarnite. Nel 2021 sono diventato prima libero professionista e prendevo servizio a contratto con gli ospedali, e poi con altri due colleghi abbiamo creato una società».

Come funziona?

«Contatto una struttura che ha carenza di anestesisti, e gli offro la possibilità di coprire tutti i turni. Paghi i professionisti 120 euro all’ora, ma loro vanno in sala operatoria anche il sabato. L’azienda non deve preoccuparsi di nulla, non ci sarà un solo giorno sguarnito. Perché le penali previste dal contratto, sono molto salate. Io e i miei soci tratteniamo una percentuale dalla retribuzione oraria dei medici».

Chi lavora per voi?

«Abbiamo una chat di circa 25 anestesisti. Io metto nel gruppo le ore disponibili nei vari ospedali, e fanno a gara per accaparrarsele. I giovani sono più ambiziosi e spregiudicati: vogliono turni di 12 ore (1560 euro al giorno), o anche più lunghi. E non si mettono grossi problemi a spostarsi e a fare tanti chilometri. Invece il pensionato che si rimette in sella, è più selettivo: vuole sedi vicine, difficilmente è disponibile il fine settimana. Il vantaggio di lavorare a gettone in una società come la mia, è che chiunque può programmarsi le giornate, e lo può fare due mesi prima. In una struttura pubblica sarebbe fantascienza, perché il primario per una urgenza ti precetta anche il giorno di Natale».

Perché c’è il calo delle vocazioni e sempre meno anestesisti?

«I motivi sono diversi. Il primo: ci vogliono 11 anni, 6 di laurea e 5 di specializzazione, prima di poter lavorare. Un cardiologo o un neurochirurgo, può essere assunto appena esce dall’università, dopo 5 anni. Secondo: non puoi fare libera professione, niente ambulatori, quindi retribuzione da 2900 euro al mese, contro quella da 20mila dei privati. Terzo: stai tutto il giorno in sala operatoria, luci al neon, stessi suoni, atmosfera alienante, nessun rapporto col paziente, se non i tre minuti prima della sedazione. Insomma, se non hai grande passione, difficilmente scegli questo mestiere».

Lei perché l’ha fatto?

«Perché mio padre, ginecologo, quando avevo 13 anni mi portava in sala a vedere i cesarei. E a me affascinavano le mamme, con la pancia aperta, che davano la vita, e allo stesso tempo erano vigili, chiacchieravano e scherzavano con i medici. Era un miracolo. Quindi ho scelto di fare l’anestesista. Mi sono specializzato a Sassari, ho lavorato un anno e mezzo ad Alghero, e infine ho deciso di trasferirmi a Milano».
 

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