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Incubo Gaza: 10 mila morti, quasi la metà sono bambini

Incubo Gaza: 10 mila morti, quasi la metà sono bambini

Appello dell’Onu e delle Ong: «Non più crisi umanitaria ma crisi dell’umanità». L’accerchiamento israeliano continua mentre Hamas si prepara alle imboscate

07 novembre 2023
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Milano Oltre 10mila morti a Gaza in un mese di guerra. È il bilancio tragico diffuso dal ministero della Sanità della Striscia, che riporta 10.022 morti, di cui oltre 4.100 bambini e 2.600 donne. Mentre le condizioni umanitarie restano drammatiche, i capi di 11 agenzie Onu e 6 Ong hanno lanciato un appello congiunto per un immediato cessate il fuoco umanitario: sono «orribili» gli attacchi di Hamas del 7 ottobre contro Israele, e «l’orribile uccisione di un numero ancora maggiore di civili a Gaza è un oltraggio, così come l’esclusione di 2,2 milioni di palestinesi da cibo, acqua, medicine, elettricità e carburante».

Un richiamo ribadito con parole accorate dal segretario generale dell’Onu: «L’incubo a Gaza è più di una crisi umanitaria, è una crisi dell’umanità», ha detto Antonio Guterres, chiedendo «con urgenza» un cessate il fuoco umanitario.La triste pietra miliare dei 10mila morti giunge mentre non si intravede una fine al conflitto, con Israele ferma nella posizione di volere sradicare Hamas e schiacciarne le capacità militari. E le vittime sono destinate ad aumenterare man mano che la guerra si trasformerà in combattimenti urbani: l’esercito israeliano ha fatto sapere di aver completato l’accerchiamento di Gaza City e che la Striscia è ora divisa in due parti, tra nord e sud, immaginando un ingresso in città entro martedì.

I militanti palestinesi, che hanno avuto anni per prepararsi, probabilmente combatteranno strada per strada, lanciando imboscate da una vasta rete di tunnel. I raid israeliani della notte fra domenica e lunedì su Gaza sono stati molto intensi, preceduti dal terzo blackout comunicativo della Striscia: oltre 200 i morti secondo il ministero della Sanità di Gaza, gestito da Hamas, che non distingue tra vittime civili e combattenti.

L’Idf parla di oltre 12 comandanti di Hamas uccisi dall’inizio della guerra, alcuni dei quali nei tunnel. Il valico di Rafah tra Gaza e l’Egitto, chiuso nel weekend a causa di una disputa fra Israele, Il Cairo e Hamas, è stato riaperto lunedì per l’evacuazione dei pazienti e dei detentori di passaporti stranieri.

«Quasi tutti gli italiani, tranne chi voleva rimanere, tra cui un paio di operatori della Croce Rossa, sono usciti dalla Striscia di Gaza», ha riferito il ministro degli Esteri Antonio Tajani. La diplomazia intanto continua a lavorare. La “shuttle diplomacy” del segretario di Stato americano Antony Blinken, al suo secondo viaggio in Medioriente dall’inizio della guerra, lo ha portato da Israele alla Giordania, per poi andare in Cisgiordania, Cipro e Iraq; lunedì è stata la volta della Turchia, tappa conclusiva, dove ha incontrato l’omologo Hakan Fidan (ma non il presidente Recep Tayyip Erdogan).

Obiettivo principale ottenere un consenso su «pause umanitarie», che punterebbero a facilitare le consegne di aiuti a Gaza e il rilascio dei circa 240 ostaggi sequestrati da Hamas, ed evitare l’estendersi del conflitto. Israele ha finora respinto le proposte statunitensi di pause umanitarie e Blinken, prima di lasciare Ankara, ha sintetizzato lo stato dell’arte sul tema parlando di «work in progress», mentre il presidente americano Joe Biden ha avuto un nuovo colloquio telefonico col premier israeliano Benjamin Netanyahu.

La Turchia, dal canto suo, è tornata a pressare per un cessate il fuoco vero e proprio: una proposta, respinta da Tel Aviv, su cui spingono anche diversi Paesi arabi, compresi Giordania ed Egitto, la cui riappacificazione con Israele risale a ben prima degli Accordi di Abramo. Amman ha usato toni duri: «Ogni tentativo o la creazione di condizioni per trasferire i palestinesi da Gaza o dalla Cisgiordania sono una linea rossa e la Giordania li considererà una dichiarazione di guerra», è l’avvertimento lanciato dal premier Bisher al-Khasawneh.

Intanto, l’esercito Usa ha dispiegato un sottomarino con capacità nucleare in Medioriente, una mossa considerata dall’Idf un elemento di deterrenza.

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