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Il report

L’isola dei lavoratori introvabili: nel 2034 saranno 110mila in meno

di Salvatore Santoni
L’isola dei lavoratori introvabili: nel 2034 saranno 110mila in meno

L’analisi della Cgia di Mestre sui dati Istat: la Sardegna è la seconda peggiore d’Italia. L’emorragia più grave nel Nuorese (-17,63%). Il Sassarese perderà 40mila addetti

13 aprile 2024
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Sassari Centodiecimila. È questa la consistenza dell’emorragia di persone in età lavorativa che la Sardegna perderà nei prossimi dieci anni. I numeri, drammatici, sono nero su bianco nella recente analisi effettuata dalla Cgia di Mestre in base agli ultimi dati Istat, che descrivono un’isola che invecchia, perde terreno in termini di forza lavoro e guarda verso un orizzonte che riserva un aumento della spesa pensionistica, sanitaria e assistenziale, e una contestuale picchiata delle contribuzioni.

2034 La fotografia della Cgia è quella di un sistema che si avvia al collasso. Nell’isola la platea di persone tra 15 e 64 anni – sono quelli considerati in età lavorativa – è destinata a diminuire del 14,17%. Al primo gennaio di quest’anno, infatti, risultavano in 783.333 e nello stesso giorno del 2034 i demografi prevedono che scenderanno a 672.334. Un taglio netto secondo in Italia soltanto ai dati della Basilicata (-14,56%).

Tutti in negativo Gli esperti della Cgia hanno messo in fila anche i dati raccolti su base provinciale, che sono stati incolonnati in una classifica che vede in testa i territori dove l’emorragia di lavoratori è peggiore. La prima provincia dell’isola – sesto posto assoluto – è Nuoro, che destinata a perdere il 17,63% della forza lavoro passando dagli attuali 121.814 ai 100.340 del 2034, e quindi con una variazione di -21.477. A seguire, a un’incollatura, c’è il Sud Sardegna che passerà da 203.396 a 167.734 (-17,53% e una variazione di -35.662); l’Oristanese da 91.238 a 75.756 (-16,97% e -15.482); il Sassarese da 300.981 a 260.984 (-13,29 e -39.997); il Cagliaritano da 269.300 a 235.254 (-12,64% e -34.046).

Gli stranieri Le stime elaborate dall’Ufficio studi della Cgia su dati dell’Istat fanno emergere una particolarità: nei territori dove risiedono più stranieri ci sono anche più giovani. E, viceversa, dove ci sono pochi stranieri si registra il calo demografico peggiore. È il caso di Nuoro, Oristano e del Sud Sardegna, che rispettivamente contano il 2,4%, il 2% e l’1,7% di residenti stranieri. Ovviamente, chi spera in una inversione del trend demografico rischia di rimanere deluso. Purtroppo, non ci sono misure in grado di cambiare segno a questo fenomeno in tempi ragionevolmente brevi. E nemmeno il ricorso agli stranieri potrà “risolvere” la situazione. Anche se dai dati emerge che il trend in picchiata perlomeno rallenta nei territori in cui la loro presenza è maggiore.

Chi paga il conto Nell’isola la difficoltà a trovare giovani lavoratori da inserire nelle aziende artigiane, commerciali o industriali è avvertita già da tempo. Meno lavoratori e quelli che restano tra i meno preparati e professionalizzati d’Italia, magari disponibili ad accettare un impiego che però non arriva perché il mercato del lavoro chiede competenze che non hanno. E quindi le imprese soffrono nel cercare di ricoprire posizioni che restano vacanti.

In Italia Le previsioni ci evidenziano che entro i prossimi 10 anni la platea delle persone in età lavorativa presente in Italia è destinata a diminuire di 3 milioni di unità (-8,1 per cento). Se all’inizio del 2024 questa coorte demografica includeva poco meno di 37,5 milioni di unità, nel 2034 la stessa è destinata a scendere rovinosamente, arrestandosi a poco meno di 34,5 milioni di persone. Le ragioni di questo crollo vanno ricercate nel progressivo invecchiamento della popolazione: con sempre meno giovani e con tanti baby boomer destinati a uscire dal mercato del lavoro per raggiunti limiti di età, molti territori subiranno un autentico “spopolamento”, anche di potenziali lavoratori, soprattutto nel Mezzogiorno. Tra le 107 province d’Italia monitorate, sottolinea l’Ufficio studi della Cgia che ha elaborato le previsioni demografiche dell’Istat, solo quella di Prato registrerà in questi 10 anni una variazione assoluta positiva (+ 1.269 unità pari al +0,75 per cento). Tutte le altre 106, invece, presenteranno un saldo anticipato dal segno meno.

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