Il vino senza alcol arriva in Italia: cosa cambia per i produttori in Sardegna
Mariano Murru, presidente regionale Assoenologi, spiega pro e contro della novità
Sassari Più delle abitudini e delle resistenze di tipo “culturale”, gli ostacoli oggettivi legati agli investimenti. Ma alle mode, al gusto e alle evoluzioni del mercato non si comanda. Anche per gli enologi, gelosi custodi dei segreti dei vini tradizionali, le novità inserite nel decreto merita una presa d’atto. «Siamo di fronte a un decreto che va incontro alle nuove esigenze di mercato – dice Mariano Murru, presidente regionale di Assoenologi – e riduce la disparità con altri paesi europei come la Germania, l’Austria che da tempo hanno normato e concesso queste tipologie di prodotti: tant’è che numerosi produttori italiani erano costretti ad inviare i loro prodotti in Germania o Austria per il trattamento di dealcolazione, per poi rivendere il prodotto finito sui mercati internazionali con una evidente perdita economica».
Cambiano dunque i paradigmi della produzione e, soprattutto, del buon bere? Sembrerebbe proprio di no. «Intanto tranquillizziamo i produttori e gli appassionati – spiega Murru, uno degli enologi italiani più apprezzati al mondo –, dato che in Italia sarà consentito per ora esclusivamente il trattamento sui vini comuni , non a denominazione controllata (Doc)e neanche su quelli ad indicazione geografica tipica(Igt) per tutte le tipologie dai vini fermi agli spumanti, con la volontà ferma di non perdere un opportunità di mercato, ma allo stesso tempo di valorizzare ancora di più i nostri prodotti tradizionali e certificati. Come è noto, sarà consentito produrre vini totalmente dealcolati, cioè al di sotto dello 0,5 % di alcool, o parzialmente Dealcolati, al di sotto dei 9 gradi alcolici). Ma per tutto il resto, come sempre, sarà il mercato a regolare i processi produttivi».
In Sardegna come reagiranno i produttori? «Gli impianti e i trattamenti per i vini totalmente dealcolati attualmente sono molto costosi e dunque difficilmente alla portata dei piccoli produttori. Anche i produttori più solidi – aggiunge l’enologo – per mettere insieme un processo produttivo che richiede comunque un passaggio in più, credo che ci penseranno più volte prima di affrontare un investimento così gravoso. Stiamo parlando di impianti che costano diverse centinaia di migliaia di euro. Insomma, vedremo». E il sapore? «Nonostante l’innegabile miglioramento sui risultati che ci sono stati negli ultimi anni, rimaniamo molto lontani dal prodotto di partenza: ne abbiamo avuto la controprova con la degustazione per 600 persone, in presenza del ministro Lollobrigida, che abbiamo organizzato in occasione del recente congresso nazionale Assoenologi, che si è svolto lo scorso mese di maggio a Cagliari». Ci sono differenze anche a proposito della composizione. «Per compensare e riequilibrare l’acidità e l’amaro dell’alcol estratto del vino, solitamente vengono aggiunti zuccheri o mosto concentrato, in media 50-60 grammi litro. Cioè molto di più rispetto ai 2-3 grammi presenti in un normale vino: quasi un vino semi dolce, per noi già quasi da dessert. Insomma, magari il vino non ha alcol ma chi lo bebe assume molti più zuccheri. Diciamo in sintesi – conclude Murru – che sarà un opportunità per andare incontro a una porzione di consumatori che per vari motivi non possono o non vogliono consumare i vini tradizionali, ma come è successo per altre bevande (vedi la birra) di certo non spodesterà il consumo dei vini di qualità che sono parte integrante della nostra storia e della nostra cultura». (a.si.)