La Nuova Sardegna

Sassari

Case in campagna, basta abusi legalizzati

di Pier Luigi Piredda
Case in campagna, basta abusi legalizzati

La Regione dice di voler arginare il «fenomeno Sassari», dove l’agro è stato deturpato dalle costruzioni

27 maggio 2012
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SASSARI. «Abusi edilizi legalizzati». Così un urbanista aveva definito il caos abitativo nell’agro di Sassari. Un fenomeno unicamente e tipicamente sassarese, visto che non esistono casi simili in altre parti della Sardegna, probabilmente legato alla tradizionale economia “zappadorina” di Sassari basata sull’agricoltura, che è stata tradita in nome del cemento. Non è un caso se il gremio più importante, quello che sfila orgogliosamente per ultimo con il suo antico candeliere alla Faradda del 14 agosto, celebra il rito dell’Intregu (lo scambio delle bandiere tra obrieri) nel Palazzo di Città proprio quel giorno ed entra per primo nella chiesa di Santa Maria per sciogliere il voto a nome della città, è quello dei Massai: i “prinzipales”, gli antichi proprietari terrieri che a Sassari erano soprattutto ortolani e olivicoltori. Ma di quegli orti decantati anche dallo storico Enrico Costa e che erano fonte di ricchezza e di lavoro per centinaia di persone ormai ne sono rimasti molto pochi, Mentre negli oliveti, tra un albero e l’altro, sono sorte come funghi centinaia, migliaia di case.

Nuove norme. Con le nuove norme contenute nel Piano paesaggistico regionale, è stato posto definitivamente un alt alla cementificazione del verde intorno alla città. Ora è necessario almeno un ettaro di terreno per costruire una casa a vocazione agricola: stop alle dimore principesche stile «Beverly Hills», di cui l’agro di Sassari è punteggiato e deturpato, offeso anche da casermoni indecorosi, grigi e senza finestre, costruiti a più riprese con gli avanzamenti dei lavori evidenziati dal colore dei cantoni utilizzati per “tirare su” gli appartamenti per i figli.

Corona verde. Sassari ha intorno una sorta di corona verde che, anzichè essere tempestata di pietre preziose, è abbruttita dal cemento. Case sorte come funghi, soprattutto negli Anni Ottanta e Novanta, e costruite a raffica poco prima dell’approvazione del nuovo Piano paesaggistico regionale. Ma stranamente, anche adesso in alcune zone l’attività edilizia è abbastanza sostenuta. Circa 8mila ettari sui quali per decenni si è costruito senza controllo, ma legittimamente grazie alle norme urbanistiche contenute nel vecchio Piano regolatore generale, che consentivano la realizzazione di immobili connessi ad attività agricole su 2500 metri quadri di terreno: un quarto di quell’ettaro necessario adesso. La campagnetta-passatempo, ricevuta in eredità, trasformata in luogo per viverci, ma senza servizi e “aggiustata” per farla diventare abitabile con pozzi artesiani e fosse settiche artigianali, che hanno finito per inquinare le falde.

Il tecnico. «La situazione è seria, ma non possono essere considerati abusi edilizi – ha spiegato l’ingegner Marco Melis, direttore generale dell’assessorato regionale all’Urbanistica –. La maggior parte delle costruzioni è sorta legittimamente con regolare concessione edilizia rilasciata dall’amministrazione comunale, altre sono state sanate, almeno per quanto riguarda quelle realizzate fino all’adozione del nuovo Piano paesaggistico regionale. Ma il problema esiste, inutile negarlo. Abbiamo avuto diversi contatti con i tecnici del Comune di Sassari per affrontare la questione.

Il Puc. «Nel Puc, che abbiamo rimandato indietro, si stava pensando di far diventare l’agro un pezzo di città, ma non è questa la strada giusta. L’agro è un’area rurale in cui salvaguardare l’ambiente, l’agricoltura e l’identità. Come? Con la rinaturalizzazione e il recupero dell’agricoltura com’era in passato. Non sarà facile – ha continuato l’ingegner Melis – ma pensiamo che questa sia l’unica strada percorribile per risolvere la pianificazione tecnica sbagliata oltre 30 anni fa. Perchè non possiamo certamente pensare di portare via la gente, migliaia di persone, da quelle case: sarebbe impossibile. E allora dobbiamo riuscire a far convivere le esigenze abitative con quelle tipicamente rurali e, soprattutto, dire basta ad altre costruzioni. Per fare questi interventi – ha aggiunto il direttore dell’assessorato all’Urbanistica, investito del problema dall’assessore Nicola Rassu, bonorvese ma sassarese d’adozione che conosce bene la situazione e sta cercando il modo per risolverla nella maniera meno traumatica – dovranno essere predisposti piani di riqualificazione paesaggistica, con il coinvolgimento propositivo di chi abita in questa fascia. Ma è chiaro – ha concluso il tecnico – che il problema dev’essere affrontato e risolto. In Sardegna, ci sono tanti abusi, che stiamo affrontando e combattendo, ma non esistono situazioni simili».

Anomalia. Quella di Sassari è una situazione anomala, tipica di una realtà che affonda le sue radici nell’agricoltura. Ma di quel passato, degli orti di Sassari sono rimasti soltanto i ricordi. Sono pochi quelli che vivono nell’agro e coltivano la campagna. Infatti al posto dei vasconi d’acqua per abbeverare gli animali e le campagne spesso ci sono piscine e dove c’erano i campi di grano, quelli che ai tempi dell’Antica Roma di Cesare erano il “granaio di Roma”, ora ci sono campi da tennis. Oppure anche niente, come in alcune zone della Nurra dove ci sono immense distese di campagna brulla, con qualche ciuffo d’erba rinsecchito. E in mezzo al nulla, ville principesche attorniate da prati inglesi: unico richiamo verde a una natura offesa dal cemento.

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