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Sassari, dopo la truffa sull'impianto rifiuti lo Stato rivuole i soldi

di Daniela Scano
Sassari, dopo la truffa sull'impianto rifiuti lo Stato rivuole i soldi

I finanziamenti per costruire l’impianto di smaltimento Gesam a Truncu Reale erano frutto di un raggiro: la società ha fatto ricorso per non restituirli, il Tar lo ha respinto

02 giugno 2014
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SASSARI. La pretesa era più o meno la seguente: «Quei soldi sono nostri perché lo Stato ce li ha dati e perché una sentenza del Tar ci ha dato ragione, quindi il ministero dello Sviluppo economico non può sottrarceli». Chi ragionava in questo modo, evidentemente, considerava un trascurabile dettaglio il fatto che i soldi in questione fossero stati ottenuti con una truffa. Un accrocchio di fatture false e di spese gonfiate che nel 2005 indusse la Provincia di Sassari e il ministero dello Sviluppo economico ad ad accreditare alla Gesam due milioni e 256 mila euro dei fondi della legge 488 del primo contratto d’area Sassari-Alghero-Porto Torres per realizzare il mega impianto per il trattamento dei rifiuti a Truncu Reale. Questa la verità processuale stabilita dalla sentenza penale di condanna degli imputati per quel finanziamento ottenuto con l’inganno.

Concluso il percorso processuale, nel luglio del 2013 lo Stato ha cercato di tornare in possesso del maltolto, ma ha dovuto fare i conti con la resistenza di chi in tutti questi anni ha ritenuto che i soldi dovessero restare nel proprio conto corrente. Della storia della Gesam è tornato a interessarsi nei giorni scorsi il Tribunale amministrativo regionale. Che questa volta, con la sentenza 334/2014 ha risposto picche alla richiesta della società sassarese di annullare il decreto del ministero dello Sviluppo economico avente per oggetto la revoca del finanziamento statale ottenuto in modo truffaldino. Soldi che Gesam riteneva di avere incamerato definitivamente e che invece dovrà restituire. Così hanno deciso i giudici della prima sezione: presidente Caro Lucrezio Monticelli, consiglieri Marco Lensi e Giorgio Manca.

La Gesam, attraverso i suoi avvocati Gian Comita Ragnedda e Franco Pilia chiedeva che il Tar facesse riconoscere allo Stato il passaggio in giudicato di una sua sentenza del 2008 che aveva annullato la prima deroga del finanziamento. In quel periodo l’inchiesta della Procura della Repubblica era solo agli inizi e i giudici amministrativi diedero ragione alla Gesam su una questione formale. Siccome i soci fondatori della società sostenevano di avere contribuito con le proprie finanze personali a realizzare il 30 per cento degli investimenti, il Tar disse che questo contributo economico poteva essere stato fatto con assegni. «lesgenza di concorrere con “mezzi propri” al finanziamento del contratto d’area – scrivevano i giudici – può essere soddisfatta mediante diversi strumenti giuridici (leciti, ovviamente) purché l’apporto economico-finanziario sia riconducibile alla sfera patrimoniale del soggetto interessato».

Quando ha ricevuto la revoca del fiinanziamento, nel novembre del 2013, la Gesam ha invocato la dichiarazione di nullità per la violazione della sentenza del Tar che le aveva dato ragione sei anni fa. Ma nel frattempo la storia è cambiata e nei giorni scorsi il Tar ha dato due brutte notizie alla società sassarese. La prima è che «il giudicato amministrativo di annullamento non preclude il riesercizio del potere amministrativo» se ci sono fatti nuovi.

La seconda pessima notizia è che i fatti nuovi, a parere del Tar, sono grandi come uno stabilimento: «Dalla sentenza penale di condanna pronunciata nel 2010 a carico di alcuni soci (palesi e occulti) di Gesam – scrivono i giudici – è emersa una nuova costruzione in cui il dato rilevante è costituito dall’aver dimostrato che in realtà l’apporto dei “mezzi propri” fu il frutto di artifici e raggiri». Lo Stato a volte è troppo esigente con i contribuenti, ma bisogna ammettere che in questa circostanza ha rivelato straordinaria pazienza.

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