La Nuova Sardegna

Sassari

Il pm: «I 23 imputati vanno tutti assolti»

di Nadia Cossu
Il pm: «I 23 imputati vanno tutti assolti»

Assunzioni “sospette” di due dirigenti, per la Procura le giunte comunale e provinciale non commisero abuso d’ufficio

05 novembre 2014
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SASSARI. Non si può parlare di «assunzioni sospette». Perché le procedure che vennero utilizzate per assumere un dirigente in Comune e l’altro in Provincia non procurarono alcun ingiusto vantaggio patrimoniale agli interessati né provocarono danno ad altri candidati. Ed è con queste conclusioni che il pubblico ministero Giovanni Porcheddu ieri mattina ha chiesto l’assoluzione per i 23 imputati del ribattezzato “processo Giudici-Ganau”. Tra gli accusati di abuso d’ufficio e falso ideologico, infatti, c’erano il presidente del consiglio regionale Gianfranco Ganau – all’epoca sindaco di Sassari – e la presidente della Provincia Alessandra Giudici. La clamorosa decisione del pm è arrivata dopo meno di due ore di discussione durante le quali Porcheddu ha ripercorso i nodi dell’inchiesta, soffermandosi anche sulla mole di documenti che il collegio difensivo ha depositato durante l’istruttoria dibattimentale.

I fatti risalgono a dicembre del 2007. Sotto la lente di ingrandimento della Procura finirono le modalità con cui furono assunti i dirigenti Giuseppina Lugliè (in Provincia) e Roberto Campus (in Comune), entrambi estranei all’inchiesta. Secondo l’accusa i due enti avrebbero dovuto riservare i posti vacanti nelle rispettive piante organiche a dirigenti di altri enti locali finiti in mobilità in seguito alla soppressione del proprio ufficio. E non, come invece fecero, attingere i nomi dalla vecchia graduatoria di un concorso comunale. E infatti a queste due assunzioni si erano opposti tre dirigenti in servizio in altri enti, uno dei quali aveva presentato domanda di mobilità e poi era finito alla Provincia di Olbia perché la sua richiesta era stata ignorata a Sassari. La persona in questione è Francesco Maria Nurra e dalla sua denuncia era scattata l’inchiesta della magistratura. Durante le indagini, il pm sostenne che Comune e Provincia violarono le norme di legge. In sostanza: la regola prevedeva la stipula di una convenzione tra Comune e Provincia e l’espletamento di un nuovo concorso. Solo a quel punto un ente avrebbe potuto attingere dall’altro. Ma all’epoca Palazzo Ducale aveva una graduatoria preesistente e Comune e Provincia inserirono una deroga nella convenzione per poter pescare da questo elenco vecchio. È qui che secondo la Procura fu commesso un illecito. E votando la delibera ci passò tutta la parte politica. La magistratura sollevò sospetti anche sulla tempistica delle assunzioni: procedure troppo rapide che fecero saltare alcuni passaggi come la concertazione con i sindacati. Ma gli avvocati in una delle udienze esibirono il parere tecnico di un dirigente del ministero che decretava la scadenza delle graduatorie concorsuali al dicembre del 2007. Ecco perché tanta fretta nell’espletare le assunzioni. E poi, come ricordò in aula la teste Giuseppina Lugliè «in quel periodo in Provincia c’era un’emergenza organizzativa. Mancava un dirigente in un momento delicato considerato che era in corso un imponente trasferimento di funzioni all’ente di piazza d’Italia».

«È servito sentire i testimoni – ha ammesso ieri il pm – per chiarire la vicenda», così come è servito l’esame documentale. Gli imputati vanno tutti assolti dall’abuso d’ufficio «perché – sostiene Porcheddu – la volontà della pubblica amministrazione era procedere all’assunzione per evitare che la graduatoria andasse a scadere e per far fronte a una carenza di personale. Non quindi per procurare al singolo un vantaggio ma per un interesse pubblico». Agli amministratori provinciali era contestato anche il falso ideologico per aver dichiarato in una delibera di aver correttamente informato i sindacati del percorso in via di perfezionamento per l’implementazione della dotazione organica e la definizione del fabbisogno triennale di personale. Anche in questo caso il pm ha chiesto l’assoluzione «perché il fatto non costituisce reato».

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