La Nuova Sardegna

Sassari

Sassari, la raccolta di abiti usati nelle campane gialle? Non è destinata ai poveri

di Luigi Soriga
Sassari, la raccolta di abiti usati nelle campane gialle? Non è destinata ai poveri

La gente è convinta di fare beneficenza alle famiglie bisognose: invece gli indumenti vengono venduti a una ditta campana

20 novembre 2015
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SASSARI. Nelle campane gialle degli abiti usati ci finisce dentro tanto buon cuore ma niente beneficenza. Dei guardaroba svuotati dai sassaresi, nemmeno un calzino va alle associazioni di volontariato e quindi alle persone bisognose. I vestiti ormai sono considerati alla stregua dei rifiuti, e come tali vengono selezionati smaltiti, venduti, trattati, riciclati e reimmessi sul mercato.

Scarto tessile. Il problema, appunto, sta tutto nel conferimento: la stragrande maggioranza delle persone pensa che i propri indumenti vadano ai poveri. Le campane gialle, nell’immaginario collettivo, sono sempre la cassetta di solidarietà della Caritas. Per questo i cittadini selezionano le camicie meno usurate, i pantaloni più nuovi, convinti di fare una buona azione li depositano nei contenitori gialli. Ma così incrementano solo la percentuale di differenziata e alimentano il business del riciclo tessile.

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L’equivoco. Poi il Comune e chi si occupa della raccolta ci mettono del loro per confondere ancora di più le idee. Sui cassonetti gialli non c’è alcun riferimento sul destino degli abiti usati. Non c’è scritto che andranno in beneficienza, ma non è altrettanto chiaro che si tratta di un rifiuto come un altro. E quattro elementi traggono facilmente in inganno: il primo è il riferimento a una cooperativa sociale che si occupa della raccolta. Sociale=beneficienza è un’associazione istintiva. Il secondo è che spesso le campane gialle si trovano isolate e lontano dalla batterie di cassonetti. Questo suggerisce una loro diversa funzione e destinazione. Il terzo elemento è il più efficace: la collocazione strategica in prossimità delle chiese. San Pietro, San Vincenzo, la chiesa di via Washington, via Asproni accanto a San Giuseppe, sono solo un esempio. Anche in questo caso, senza informazioni adeguate, il binomio naturale suona così: campana vicino a chiesa= abiti regalati ai bisognosi. Il quarto fattore è subdolo: sopra i contenitori si legge la raccomandazione di conferire indumenti puliti. Nessuno ipotizzerebbe che un maglione pulito poi possa andare a smaltimento, ma immagina che questa premura serva a consegnare ai poveri dei vestiti pronti all’uso.

Chiarezza. Questo mix rende le informazioni completamente distorte. Il messaggio invece dovrebbe essere dato in maniera molto chiara: se si vogliono aiutare i poveri, allora gli indumenti devono essere donati direttamente alle associazioni del territorio. Se invece si vuole semplicemente disfarsi dei vestiti, perché troppo rovinati, e non si ha voglia e tempo di fare beneficienza, allora è corretto gettarle nelle campane gialle. Si contribuirà a innalzare la percentuale di differenziata creando nuova materia prima.

Il business. La cooperativa sociale Tertium di Telti è solo l'ultimo anello della catena. Lei dalla raccolta degli abiti certamente non si fa ricca, semplicemente sopravvive. Nel 2013 ha ottenuto in subappalto dall'Ambiente Italia (ex Gesenu) il servizio di raccolta degli abiti usati. È un'opzione del tutto lecita, contemplata dal capitolato sottoscritto dal Comune. Se in precedenza gli indumenti potevano essere gettati nella frazione del secco, cioè all'interno dei cassonetti generici, con l'entrata in vigore del nuovo testo unico sull'Ambiente e l'avvio della raccolta differenziata, devono essere conferiti in contenitori riconoscibili e di colore giallo. A questo punto entrano in gioco gli operatori della Tertium. «Il ritiro degli abiti è completamente a nostro carico e anche le spese sono tutte nostre _ spiega il titolare Tore Sotgiu _ dal Comune non percepiamo neanche un euro. In città abbiamo installato 90 campane gialle che si sommano alle 120 già esistenti. Noi preleviamo i sacchetti, li portiamo nel nostro deposito di Telti, quindi gli abiti vengono preparati all'interno di un container e inviati in Campania nell'impianto Emmepi Sas di Pasquale Marcone che si occupa del trattamento. Gli abiti possono essere rimessi sul mercato, dopo un processo di igienizzazione e sanificazione, oppure inviati al macero per essere riutilizzati come fibra tessile».

Le cifre. Per ogni chilo di indumenti in buone condizioni la ditta Campana paga alla Tertium 25 centesimi e i quatitativi raccolti sono i seguenti: quest'anno soltanto da gennaio a ottobre sono stati ritirati 240 mila kg di indumenti. Nel 2014 sono stati raccolti 309 mila kg, nel 2013 246mila, nel 2012 299mila, nel 2011 293mila kg e nel 2010 373mila kg.

«Riusciamo giusto a pagarci gli stipendi _ assicura Tore Sotgiu _ siamo una cooperativa sociale perché il 30 per cento dei nostri dipendenti è affetto da disabilità. Non siamo certo in grado di lucrare. Basti pensare che ci avevano proposto il servizio anche ad Alghero, ma abbiamo volentieri rinunciato». Il capitolato d'appalto di Sassari prevedeva anche l'opzione di devolvere gratuitamente i vestiti alle onlus che assistono gli indigenti, ma la vendita della materia prima è l'unica possibilità di guadagno della cooperativa. In fin dei conti, facendo una media di 300mila chili, e ipotizzando che i vestiti siano in ottime condizioni e non debbano andare al macero, il budget sul quale può contare complessivamente la Tertium è di 75mila euro. Da questi devono toglierci gli stipendi e le spese sostenute. Il vero business, a questo punto, sta nei livelli più alti.

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