La Nuova Sardegna

Sassari

«Mia madre e gli altri: klebsiella e caos»

di Luigi Soriga
«Mia madre e gli altri: klebsiella e caos»

Anziana ricoverata da 45 giorni. La figlia: pazienti isolati tra disagi e problemi anche se il personale fa il massimo

25 aprile 2016
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SASSARI. Un mese e mezzo vissuto dentro un ospedale equivale ad una endoscopia nel pianeta della sanità. Si vedono le cose dal di dentro, si vivono i problemi e le inefficienze sulla propria pelle, si ha la dimensione concreta di ciò che va e non va. Grazia dentro la realtà del Santissima Annunziata ci è finita per accudire la madre Pierina, 83 anni e una salute molto ballerina che l’ha fatta rimbalzare da Geriatria, Chirurgia, Rianimazione e poi di nuovo Chirurgia. In questo peregrinaggio di reparto in reparto ha fatto conoscenza anche con il batterio della klebsiella, un compagno di viaggio che ancora non l’ha abbandonata e che forse l’accompagnerà a lungo. «Dopo tanti giorni – racconta la figlia – sono arrivata alla conclusione che più si va avanti e più si torna indietro. Indietro nel tempo, a quando si moriva per un nonnulla perché non si avevano i mezzi per curarlo».

Ora la madre Pierina si trova in isolamento, in una stanza che il “Protocollo” definisce sterile. «Isolata, perché lei e altri tre pazienti – dice Grazia - durante la degenza in diversi reparti, nel caso di mia madre in Rianimazione, hanno contratto la klebsiella, un batterio che se non curato in tempo porta al decesso del paziente. Lei è stata fortunata perché il virus ha sfogato in una febbre a 40. I medici si sono allarmati e hanno diagnosticano la presenza del batterio. Ma ancora il problema non è risolto e dubito che si risolverà mai: anche l’ultimo tampone di qualche giorno fa è risultato positivo, le dimissioni slittano di settimana in settimana e ormai siamo ai limiti del sequestro di persona».

La cosa grave è che la stessa odissea è capitata ad altri cinque pazienti: «Tre di questi sono stati compagni di stanza di mia madre. Un’anziana è morta, ma era affetta da gravi patologie. Altri due sono stati trasferiti in altri ospedali: uno al Brotzu e uno all’ospedale di Oristano. Un quarto invece pare sia rientrato in una casa di riposo e sia in quarantena».

Accudire un familiare ricoverato all’interno di una stanza sterile non è semplice: «Dobbiamo entrare tipo ris, bardati con camici, guanti, calzari e mascherina, uno alla volta. Le regole sono rigidissime. Prima di andare via bisogna spogliarsi dentro la stanza gettando tutto in un cestino e strofinando per bene le scarpe in una traversa adagiata per terra e intrisa di Amuchina. Le precauzioni sono così ferree che per il batterio non c’è scampo: da quella stanza isolata non si scappa». Peccato che in certe circostanze le maglie del famigerato protocollo si allarghino eccome. «Se uno dei pazienti avesse la necessità di sottoporsi ad una Tac, RX o visite in altri reparti – spiega Grazia - allora comincia il tour del Santissima Annunziata. E poi vai e spiegalo alla klebsiella che a lei non è concesso uscire e deve rimanere segretata nella stanza sterile. Basta vedere la routine di una compagna di stanza di mia madre affetta da klebsiella polmonare. È ricoverata in Chirurgia al quarto piano, dopodiché va a zonzo per i corridoi e reparti, prende l’ascensore, va in Rianimazione per il trattamento, e infine ritorna nella sua piccola prigione asettica. Ma nel frattempo può aver contagiato mezzo ospedale».

I medici, gli infermieri e gli oss si fanno in quattro, ma purtroppo la buona volontà non basta per una sanità efficiente. «Per loro ahimé è una guerra persa. In mezzo a una infinità di disagi cercano in tutti modi di non trascurare i pazienti. E io non smetterò mai di ringraziarli. Ma come fai a fare bene il tuo lavoro se un giorno mancano i guanti, l’indomani non ci sono i camici, altre volte spariscono le mascherine, per non parlare delle medicazioni per le piaghe. Credo che mia madre possa avere una sola possibilità di guarire: se lascia al più presto questo regno della disorganizzazione e ha la fortuna di poter rientrare a casa».

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