Diffamò medici con striscioni, condannato
Dopo la morte della moglie un uomo appese 1720 cartelli fuori dal Civile, un chirurgo lo denunciò
SASSARI. Per il giudice Simone De Luca quelle frasi scritte sugli striscioni affissi fuori dall’ospedale Civile contenevano frasi diffamatorie e per questo ha condannato l’imputato Gian Giacomo Dionisi al pagamento di una multa di 400 euro (con le generiche equivalenti) e al risarcimento del danno. A denunciare l’uomo era stato il chirurgo Giampiero Mastino.
Gian Giacomo Dionisi, ex consigliere comunale di Sassari, non era mai riuscito a superare il dolore per la morte della moglie Mariolina Vannini Poggi, casalinga di 69 anni, deceduta nel 2009 dopo due interventi chirurgici per un tumore al colon che non erano però bastati a salvarla da un infarto intestinale: «La battaglia per la verità - aveva detto il marito all’epoca - è l’unica ragione che ho nella vita». E così aveva chiesto alla questura di poter organizzare una manifestazione fuori dal Civile durante la quale erano stati affissi degli striscioni che riportavano nomi e cognomi dei medici che riteneva responsabili della morte di sua moglie. Gli stessi erano anche stati rinviati a giudizio per omicidio colposo ma il processo si è concluso recentemente con una sentenza irrevocabile di assoluzione.
Ritenendo di esser stato gravemente offeso, il chirurgo Mastino, assistito dall’avvocato Nicola Satta, aveva denunciato l’uomo per diffamazione. Il medico era stato preso di mira con accuse pesanti su quei cartelli appesi di fronte all’ospedale di viale Italia, che tutti potevano leggere.
Oltretutto c’è da dire che la rabbia di Dionisi si basava su un grosso equivoco. L’uomo, in una delle ultime udienze, aveva raccontato di aver affisso 1720 cartelli «per denunciare quell’azione degna di due sarroni»: il riferimento era a una colonscopia cui venne sottoposta sua moglie e agli interventi successivi che a detta del marito ebbero conseguenze devastanti. Ed è stato sempre convinto che fu Giampiero Mastino a eseguire l’esame perché nel certificato figurava la sigla G.M.
«In realtà la colonscopia la fece un collega che ha le mie stesse iniziali» aveva spiegato il chirurgo. E aveva anche aggiunto, rispondendo a precisa domanda: «Non ho mai operato la signora, non ho mai avuto a che fare con questo caso. Ho solo disposto il suo ricovero un giorno in cui il marito la accompagnò in reparto dopo l’intervento perché aveva la febbre».
Ieri in aula il giudice De Luca ha sentito sia il chirurgo che l’imputato e ha poi letto la sentenza di condanna nei confronti di quest’ultimo.(na.co.)