La Nuova Sardegna

Sassari

L’eredità morale di un “angelo del fango”

di Luigi Soriga
L’eredità morale di un “angelo del fango”

I vigili del fuoco di Sassari ricordano l’eroe Sebastiano Crispatzu: a 10 anni esatti dalla morte nacquero i nipoti, anche loro pompieri

06 novembre 2016
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SASSARI. Il destino ha un modo tutto suo per riannodare i fili spezzati. Davanti all’altare della chiesa della Sacra Famiglia ci sono due uomini con la divisa dei vigili del fuoco. Si chiamano Sebastiano e Andrea Crispatzu, sono gemelli, nati il 5 novembre 1976. Se indossano quell’uniforme lo devono a un ragazzo che perse la vita a vent’anni a Pordenone, durante l’alluvione del 1966. Quel giovane sfortunato era il loro zio, si chiamava anche lui Sebastiano Crispatzu, e anche lui faceva il vigile del fuoco. Ieri sono passati cinquant’anni esatti dalla sua scomparsa, 5 novembre del 1966, e i vigili del fuoco sono lì a ricordare questo eroe sfortunato. Per i due gemelli è anche una data particolare, perché è il loro compleanno. Ed ecco lo zampino del destino: li ha fatti nascere esattamente 10 anni dopo la morte dello zio, esattamente lo stesso giorno, e gli ha cucito addosso la stessa identica divisa. «Ci penso spesso a questa coincidenza – dice Sebastiano – e credo che non possa essere una semplice casualità». In effetti sarebbe impossibile calcolare un concepimento con questa puntualità svizzera. e per affacciarsi al mondo con tal provvidenziale tempismo ci vuole un aiutino da lassù. Per Salvatore Crispatzu, che di Sebastiano è il fratello e dei gemelli il padre, è stato il più bel regalo della vita. «Non può che essere un segno», dice anche lui. Ora ha settanta anni, è da qualche anno in pensione, e provate a indovinare cosa ha fatto per tutta la vita? Quando in piena notte, il 5 novembre 1966, si era presentato a casa sua il comandante dei vigili del fuoco, lui era un ragazzino di 17 anni. «Sebastiano risulta disperso nel fiume Norcello», dissero ai familiari. E fu il gelo. «Era mio fratello maggiore, un riferimento». Era naturale che Salvatore poi ne seguisse le orme.

Ed è singolare come un grande dolore, come la perdita di un fratello, possa aver fatto innamorare due generazioni, di un mestiere bellissimo e pericoloso. «Ogni tanto mi vien da pensare a mio zio – racconta Sebastiano – ma non lo immagino come un eroe. Lo vedo più come un ventenne che come tutti quelli della sua età aveva una gran voglia di vivere. E non mi importa se fosse coraggioso o meno. Anzi, preferisco pensare che avesse paura come tutti noi. Perché è proprio la paura la cosa che ti salva la vita».

A lui la paura, cinquant’anni fa, non è stata sufficiente. Stava attraversando un ponte a bordo di un mezzo anfibio cingolato, quando la piena del fiume ha fatto crollare tutto. La corrente impetuosa ha fatto il resto.

«Si prodigava nelle difficili operazioni di soccorso della popolazione di un comune invaso dalle acque di un fiume in piena perdendo così la sua giovanissima vita», si legge nella motivazione della medaglia d’argento al valore civile.

E nelle diapositive proiettate si vede un mezzo capovolto, sotto la superficie del fiume, con un solo cingolo che spunta dall’acqua. In una foto in bianco e nero invece Sebastiano Crispatzu è in posa: ha occhi azzurri e i suoi vent’anni tutti in una faccia bella e pulita. In altre istantanee sorride con i colleghi, ha l’aria spensierata.

Scrive la Nuova Sardegna del 8 novembre 1966 con grande delicatezza: «Chiamato l’anno scorso a fare il militare preferì arruolarsi nei vigili del fuoco. In tal modo pensava di sistemarsi definitivamente. Egli ormai infatti pensava a trovare un lavoro sicuro, perché si era fidanzato con una sua amica d’infanzia, la signorina Margherita Cau, di 18 anni. Purtroppo il sogno di questi due giovani è stato infranto da un destino avverso». Un destino che a suo modo, dieci anni dopo, ha voluto poi rimediare. Sebastiano e Andrea continueranno la storia e conserveranno il ricordo.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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