La Nuova Sardegna

Sassari

Piazza Tola, amarcord delle sue 45 bancarelle

di Manolo Cattari
Piazza Tola, amarcord delle sue 45 bancarelle

I ricordi di un ex ambulante pakistano, ora kebabbaro, sassarese da 17 anni «Ricordo i nomi di tutti i colleghi. E le signore si fermavano a chiacchierare»

29 gennaio 2018
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“Dio ti porta dove c’è il pane” si dice così in Pakistan. Altrimenti come spiegare la vita di Ashraf, 56 anni pakistano, dal ’95 in Europa. Prima sei anni in Germania e poi dal 2001 in Sardegna, dove ha lavorato come ambulante poi come venditore di prodotti estetici e chirurgici; poi ha importato lampadine di sale e ciabatte dal Pakistan; poi ha aperto un’attività commerciale che chiude dopo poco; infine ha iniziato con successo a lavorare nel mondo della ristorazione aprendo due kebaberie molto frequentate nel cuore di Sassari. Non si lamenta e non molla, Ashraf. Sa reinventarsi ed è stimato dai sassaresi e da tutte le comunità immigrate in Sardegna. Prima dell’intervista mi offre un caffè in un bar vicino al suo negozio. «Buongiorno Ashraf, ma quando torna tuo figlio? Speriamo che ci porti la moglie per farcela conoscere» gli chiede la barista accogliendolo all’ingresso. “Presto” risponde lui sorridendo.

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Ashraf è nonno da un mese e, nel pieno rispetto del mio stereotipo di nonno, ha la barba lunga e bianca, che sulla pelle olivastra risalta in modo particolare sembrando ancora più candida. Forse perché sono invidioso della barba, più lunga della mia, appena lo vedo mi immagino quanto sarebbe buffo vestito da Babbo Natale. Non glielo dico.

Ama l’Italia e ama Sassari. Descrive la Sardegna come la sua seconda casa, anzi la prima ormai. Con noi infatti passa quasi tutto l’anno e ormai torna in Pakistan solo per fare le vacanze. Ci tiene a sottolineare più volte che i sassaresi sono persone molto tranquille, per niente razziste e brave. Più calde e aperte, da questo punto di vista, rispetto alla Germania.

Racconta che all’inizio del suo soggiorno sardo lo colpiva che ci fossero così tante chiese e soprattutto che le donne, finita la Messa, uscissero vestite in tanti modi diversi e con tanti colori diversi, non con il velo e le gonne fino ai piedi.

Mi parla con nostalgia di una Sassari trasformata negli anni. In particolare di un centro storico svuotato e con negozi chiusi: «Quando facevo l’ambulante in Piazza Tola c’erano 45 bancarelle ed era una festa. Le signore si fermavano a chiacchierare e a passare un po’ il tempo. Ora sono pochissime le bancarelle aperte e tutto si è spostato nei grandi supermercati». Delle bancarelle rimaste in piazza Tola mi fa i nomi dei proprietari come se li conoscesse da una vita. Io ovviamente non ne conosco nessuno. Mentre lo ascolto, penso alla nipotina nata a Sassari una settimana prima di mia figlia e al fatto che mia figlia sia italiana e la sua ancora non si sa. Cosa le rende diverse?

Ha una prospettiva interessante dei nostri costumi, soprattutto il modo in cui mangiamo. «Il Sassarese è curioso, quando ordinano da mangiare vogliono provare la nostra cucina e mi chiedono spesso “cucinalo come lo mangeresti tu”». La differenza che nota rispetto al Pakistan e che noi mangiamo più velocemente e con il cellulare in mano, anche se pure da loro questa abitudine sta iniziando a prendere piede.

La differenza più grande me la racconta il figlio: «A tavola le nostre conversazioni sono più ordinate, nel senso che se parla una persona adulta, non la si interrompe. Ahtram è la parola con cui definiamo il rispetto per i grandi. Per lo stesso motivo quando un adulto entra in una stanza ci alziamo in piedi per salutarla».

Della nostra cucina adora la pasta e la pizza, anche se mi confessa (confessa è la parola giusta perché è evidente che si pone lo scrupolo di non offendere) che se può ci aggiunge un po’ di peperoncino e olio piccante. In una ricerca americana avevo letto che chi ama il cibo piccante ha una personalità più avventurosa e audace. Sarà la cultura, ma Ashraf lo è realmente avventuroso e pure audace. In questo senso rappresenta l’espressione di un mondo che cambia velocemente in cui i confini tra nazioni, culture e anche professioni è fluido e dinamico. Un bel messaggio di speranza a chi sta fermo in attesa di una soluzione ai problemi.

Jab tum kisi k sath acha karo gaye Allah tumhary sath acha kary ga” è il souvenir che condivido con voi lettori da questo viaggio. Letteralmente “tu fai del bene agli altri, Dio ti restituirà ciò che hai donato”. Quello che non posso condividere è un riso biryani mangianto con lui e alcuni ragazzi italiani che lavorano nella kebaberia. A pensarci bene a metà del mio viaggio intorno al mondo a km 0 mi hanno offerto merende, colazioni e pure un pranzo. Tutte le volte non sono mai riuscito a pagare niente, neanche un caffè. C’è da chiedersi chi è l’ospite e a casa di chi?

Pakistan 5700 km da Sassari a km 0. Prossima fermata Romania.

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