La Nuova Sardegna

Sassari

Petrolchimico, inquinamento a Porto Torres: la Cassazione riapre il processo

di Daniela Scano
Il porto industriale di Porto Torres e sullo sfondo il Petrolchimico
Il porto industriale di Porto Torres e sullo sfondo il Petrolchimico

La Corte Costituzionale: raddoppiati i termini della prescrizione. E il terzo grado annulla il proscioglimento di 4 manager

09 aprile 2018
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SASSARI. Torna in Tribunale, dove quattro anni fa un giudice l’aveva cancellato con il colpo di spugna della prescrizione, il caso dell’inquinamento del tratto di mare davanti al Petrolchimico di Porto Torres. Il 30 marzo i giudici della Cassazione hanno annullato senza rinvio la sentenza del gip di Sassari che il 6 marzo del 2014 aveva prosciolto i quattro imputati di una serie di reati ambientali, tra i quali il disastro colposo

. E solo per questo reato, per cui i giudici romani hanno raddoppiato i termini della prescrizione, portandoli da sei a quindici anni, saranno presto sottoposti a nuovo giudizio quattro manager di altrettante aziende che secondo le accuse organizzarono lo smaltimento a mare dei veleni industriali.

Scorie cancerogene che sarebbero state “frullate” nella rete fognaria della zona industriale fino a formare un cocktail ad altissimo tasso di tossicità che veniva riversato in mare, miscelato in modo che non si potesse stabilire chi aveva smaltito cosa.

Il verdetto emesso dalla quarta sezione della Suprema Corte – che aveva portato il caso davanti alla Corte Costituzionale – riporta indietro le lancette dell’orologio processuale per Diego Carmello, veneziano, 69 anni, all’epoca dei fatti legale rappresentante della Ineos Vinyls Italia; Francesco Apeddu, 70 anni, di Ittireddu, fino al 2006 direttore di stabilimento Ineos a Porto Torres; Guido Safran, 72 anni, ex rappresentante legale della Sasol; Gian Franco Righi, 52 anni, all’epoca rappresentante legale della Syndial.

Quella che ritorna in aula a Sassari è la storia dei “pesci alla diossina”, perché proprio questa sostanza cancerogena era stata trovata in alte quantità nelle parti molli del pescato nello specchio di mare della Marinella. Nel 2006 l’inchiesta del sostituto procuratore Michele Incani fece scalpore perché confermò, con il crisma della certificazione scientifica, una realtà che tanti sospettavano: un inquinamento diffuso e gravissimo del mare antistante il Petrolchimico.

Indagine tormentata e segnata perfino dal furto delle “cozze sentinella” che i periti della Procura avevano sistemato a poche centinaia di metri dalla riva per trovare le conferme (o le smentite) alla clamorosa perizia firmata dal Magistrato delle Acque di Venezia e dell’Icram. I ladri si impossessarono delle prove, ma non riuscirono a evitare che la magistratura ripetesse l’esperimento che dimostrò la presenza nelle acque, nella fauna e nella flora marine di quantità incredibili di composti chimici e metalli ad alto potere cancerogeno: cadmio, mercurio, cromo, cianuri, benzene. E diossine, appunto.

La vicenda processuale, cadenzata da vari cambi dei capi di imputazione, nel 2014 era stata cancellata dalla prescrizione che la gip Carla Altieri aveva applicato anche al reato di disastro colposo. Contro questa decisione aveva presentato ricorso la procura della Repubblica sassarese, sostenendo che al disastro colposo dovesse essere applicato il raddoppio dei termini di prescrizione stabiliti nel 2005 con la legge 251. Termini che il giudice aveva invece ritenuto fossero già scad uti nel caso dei veleni industriali portotorresi e che la Corte di Cassazione ha ricalcolato con la sentenza del 30 marzo, portando al 2021 l’ultimo scatto della lancetta processuale.

Altri tre anni entro i quali i giudici dovranno dire, entrando nel merito della vicenda, se i quattro imputati sono i responsabili del disastro ambientale. La vicenda dei “pesci alla diossina” passerà alla storia anche perché la Corte Costituzionale, il 22 novembre scorso, esprimendosi proprio sulla vicenda dei veleni industriali di Porto Torres ha pronunciato parole chiarissime sul reato di disastro ambientale. «Vicende – hanno sentenziato la Consulta – che generano un allarme sociale particolarmente intenso e i cui effetti si manifestano spesso a distanza di tempo, richiedendo nella generalità dei casi accertamenti complessi tanto nella fase delle indagini quanto in quella processuale».

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