La Nuova Sardegna

Sassari

La truffa dei diamanti, sassarese vince la battaglia

di Nadia Cossu
La truffa dei diamanti, sassarese vince la battaglia

L’uomo aveva investito 20mila euro con l’intermediazione di un istituto di credito. Aveva acquistato le pietre a prezzi gonfiati, dopo cinque anni ha riavuto i soldi

15 dicembre 2019
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SASSARI. Ventimila euro da investire in diamanti. Gli era sembrato un ottimo affare, soprattutto perché a proporglielo era stata la sua banca. Si era fidato e a ottobre del 2014 aveva sottoscritto un ordine di acquisto con la società Dpi (Diamond Private Investment) per “diamanti da investimento” nella filiale sassarese di un noto istituto di credito, non sardo. Al momento della stipula del contratto il personale della banca lo aveva rassicurato sulla bontà dell’operazione sia attraverso materiale informativo che a voce. Ma era tutto un bluff. Perché quell’investimento non solo non ha fruttato un solo euro ma anzi, se l’uomo non si fosse tutelato legalmente, avrebbe rischiato di perdere i soldi. Oggi, a distanza di cinque anni, dopo un lungo lavoro messo a punto dagli avvocati Natalino Zarelli e Dario Masala, il cliente sassarese ha riavuto indietro il capitale investito.

Per capire i contorni di questa vicenda salita alla ribalta delle cronache nazionali – e della quale anche la “vittima” di Sassari era venuta a conoscenza attraverso la trasmissione Report – bisogna tornare indietro agli anni tra il 2012 e il 2016. Ossia il periodo nel quale le società Idb e Dpi iniziarono un’attività di vendita di diamanti attraverso alcune banche, come forma di investimento sicuro da speculazioni e oscillazioni di mercato. In particolare, le banche avrebbero promosso gli investimenti ai loro correntisti agendo da intermediarie e proponendo quello che sembrava essere un vero affare. Gli istituti di credito, formalmente, mettevano solo a disposizione nelle loro filiali il materiale pubblicitario delle due società: in realtà, secondo le indagini della Procura di Milano, i direttori e i consulenti finanziari avevano un ruolo attivo nel proporre ai clienti gli investimenti presentandoli in modo “parziale, ingannevole e fuorviante”.

Quando nel 2016 la trasmissione Report aveva parlato del caso, il cliente sassarese di uno degli istituti di credito coinvolti nell’inchiesta aveva capito subito di essere finito anche lui nella rete dei presunti truffatori.

«I diamanti – spiegano oggi gli avvocati riportando un approfondimento fatto da “Repubblica” – venivano fatti apparire come un “bene rifugio” garantendo un rendimento costante annuo del 3-4% del capitale, molto più di un qualsiasi titolo di Stato. Lo dimostravano, dicevano, le quotazioni di mercato stampate su un giornale economico, che però non erano che un listino prezzi (gonfiato rispetto ai valori reali) pubblicato a pagamento furbescamente sulle pagine dei titoli di Borsa». Il valore dei diamanti era alla fine pari al 30-50 per cento del prezzo pagato dal cliente. A questa base venivano aggiunte le commissioni per la banca, le coperture assicurative, i costi per la certificazione etica e gemmologica e una percentuale per la rivendita. La non corrispondenza tra la somma pagata e il valore reale dell’investimento era quasi impossibile da scoprire, proprio perché i listini prezzi pubblicati a pagamento non corrispondevano alle quotazioni indicative di Rapaport e Idex, ossia i listini internazionali dei diamanti riconosciuti in tutto il mondo e fissati una volta alla settimana.

La guardia di finanza a febbraio aveva eseguito un sequestro preventivo per oltre 700 milioni di euro a carico delle due società (la Dpi e la Idb, nel frattempo fallita) e di cinque banche. Gli avvocati Zarelli e Masala avevano chiesto, per conto del loro cliente, la restituzione delle somme investite. La Dpi rispondeva che i diamanti erano sotto sequestro e a quel punto i legali avevano presentato un’istanza di dissequestro dimostrando che la proprietà delle pietre preziose era del loro cliente. Subito dopo le pietre sono state spedite a Sassari con un plico assicurato ad hoc e riconsegnate dall’investitore alla banca per riavere indietro i soldi. A distanza di cinque anni l’uomo è tornato fortunatamente in possesso del suo capitale.

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