La Nuova Sardegna

Sassari

Personaggi di Sassari: le 80 Becks di Pinuccio e gli scherzi di Muccinelli

di Luigi Soriga
Pinuccio Rubattu detto La Cina per gli occhi sottili, teneva banco al Circolo 2001 al Corso
Pinuccio Rubattu detto La Cina per gli occhi sottili, teneva banco al Circolo 2001 al Corso

Maciste che entrava al bar e poi usciva con il lavandino e il water sottobraccio. Gavino La Cambiale addetto al recupero crediti e Belligabelli, Rocky e Cicottino

04 febbraio 2020
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SASSARI. I sassaresi li chiamano “Ingiugli”: non sono semplici soprannomi, sono marchi di fabbrica, identità stampate a fuoco nel Dna. Orecchie a sventola, pance prominenti, spigolature caratteriali, o anche solo una frase epica: basta un secondo e il nome vero scompare per sempre, riconsegnando alla storia di Sassari nomignoli, personaggi e aneddoti tramandati di generazione in generazione.

Un sito nel 2008 ne ha raccolto oltre 3000. Ecco alcuni tra i più famosi.

Pinuccio Rubattu (La Cina). Immenso, due quintali di simpatia e stravaganza, con due minuscole fessure al posto degli occhi che lo hanno consegnato ai posteri con quel soprannome, La Cina. La sua grande muraglia la erigeva sul bancone del circolo 2001, al Corso. Becks dopo Becks, come mattone dopo mattone, prendeva forma il monumento alla birra. Dice il gestore Gianfranco Cabigiosu, detto Jfk: «Io in trent’anni non ho mai visto uno così. Al bancone era da serie A». Una mattina al circolo si è presentato un ragazzino. Gli servivano delle bottiglie vuote per le conserve di sugo. Le chiede a Jfk, ce n’erano giusto una decina. Ma seduto a tavolino c’è Pinuccio Rubattu. Col suo vocione chiede: «Quanto te ne servono?». E il ragazzo: «Una cinquantina». Pinuccio La Cina ha la soluzione: «Fai una cosa, ripassa stasera verso le 7 e porta una cassetta». Sorso dopo sorso, gli ha lasciato pronte 80 Becks vuote.

Aneddoto numero due: la parola dieta non era contemplata nel vocabolario di Pinuccio, e portare a spasso 200 chili, era piuttosto problematico. Aveva ottenuto l’invalidità e il contrassegno per l’auto. In viale Umberto c’era uno stallo giallo molto conteso. Pinuccio La Cina e un altro automobilista disabile, un avvocato che lavora nei paraggi, si ritrovano insieme davanti al parcheggio. Entrambi si fronteggiano per occuparlo. E l’avvocato afferra il contrassegno, abbassa il finestrino, e comincia a sventolarlo come fosse la carta vincente. Ma Pinuccio La Cina è più lesto. Si infila velocemente nello stallo, prende il suo contrassegno disabili, abbassa a sua volta il finestrino, lo sventola e grida: «Avvocà, scopa! Uno a zero».

Giovanni Cau (Muccinelli). In via Napoli aveva aperto il Bar Juve, era bianconero sfegatato, e questa passione, assieme alla corpotura tascabile, gli era valso l’ingiugliu di Muccinelli, per la somiglianza con l’attaccante della Juve negli anni ’50. A suo modo anche Giovanni Cau era un fuoriclasse. Prese in giro, scherzi, piccole fregature. Raccontano che ne combinasse di tutti i colori, temutissimo anche dagli amici. Era uno che entrava in salumeria: «Dammi del salame». «Quanto ne vuole?». «Affeeetta». «Basta così?», e lui: «Affeeetta». E poi passava al prosciutto: «Affeeetta». E ancora con la fontina: «Affeeetta». Quando era pronto più di mezzo chilo, diceva: «Aspè che ho la macchina messa male». Usciva e non tornava mai più.

Ogni tanto, nel suo bar, si faceva vivo l’ufficiale giudiziario. Muccinelli non era uno svizzero con le cambiali. E allora, contro queste visite sgradite, si rivolgeva al cane Alì: «Muella Alì, mussiggheggiaru».

Aneddoto numero due. Non solo fede bianconera, era anche un ultrà torresino, e spesso organizzava le trasferte a Cagliari. Partenza alle 7, lui dava appuntamento davanti al Bar Juve almeno due ore prima: attesa lunga per far consumare paste e cappuccini. Poi partenza in pullman e pranzo al sacco per tutti, compreso nella quota Muccinelli. Attorno alle 14, però, qualche stomaco cominciava a brontolare: «Ebbè, ma da mangiare non ce n’è?». E da lontano si sentiva la voce di Muccinelli: «Mari hai fattu se no ti lu sei arriggaddu...».

Franco Panu (Maciste). Girava a petto nudo anche sotto la neve. Abitava al centro storico, Vicolo Chiuso, era grosso e muscoloso, faceva lo scaricatore da Multineddu. Gironzolava spesso, e ogni tanto, giusto per passare il tempo, piegava o sdradicava i paletti stradali. Un giorno è entrato al Bar Corallo, all’angolo di via Cagliari. «Scusi, dov’è il bagno?». Lo hanno visto uscire cinque minuti dopo con il lavandino sotto un braccio e il water sotto l’altro».

Gavino Musiu (La Cambiale). È il primo dei personaggi ancora in vita. Ha novant’anni, è amatissimo in città, e ogni tanto lo si incontra dalle parti di piazza d’Italia. I rilevatori fonometrici captano la sua presenza a circa 900 metri di distanza. Questo perché il volume della voce di signor Gavino è costantemente a dieci tacche. E il soprannome si deve proprio ai decibel del suo vocione. Negli anni 70 lavorava da Porcella elettrodomestici, e non sempre i clienti erano puntuali nei pagamenti. Signor Gavino, addetto al recupero crediti, veniva inviato per ricordare le scadenze, suonare al citofono e comunicarle a tutto il quartiere: «Signoraaaa, la cambiaAAALEEEE!!!». Il mese successivo il pagamento era assicurato e puntuale.

Roberto Fanti (Belligabelli). Dentro la sua cuffia di lana non si portava dietro solo una matassa informe di capelli. C’erano almeno dieci rasta annodati tra loro. Per questo Roberto Fanti era ed è ancora conosciuto come Belligabelli. Adesso la lunghezza della chioma è molto più contenuta, tendente al ricciolino. Lo si incontra in giro per la città, personaggio amatissimo, ma anche su Youtube, dove parla a ruota libera. Una capacità di mitragliare 100 parole al minuto, una velocità di eloquio che farebbe impallidire lo stesso Paolo Bonolis.

Pinuccio Cabizza (Rocky). Felpa con cappuccio, dentro un asciugamano appiccicato con le mollette, mani rigorosamente fasciate, calzoncini corti Leone, passo svelto e pugni scagliati contro un avversario invisibile. Quando passa davanti a una scuola, gli studenti lo acclamano: «Vai Rocky!!!». E Pinuccio Cabizza solleva le braccia al cielo e mima qualche combinazione. «Ho 61 anni – dice – ho fatto il massaggiatore, e da 30 anni faccio almeno 20 chilometri al giorno». Da Scala di Giocca sino al Latte Dolce, e non c’è sole o neve che possa fermarlo.

Gianfranco (Cicottino Er Gancio). L’unico che potrebbe impensierire Rocky è l’altro boxeur sassarese che spopola su Youtube. Gianfranco Cicottino, detto Er Gancio. Un solo dente, «mi serve per la ciogghitta», e fegato da vendere: in un video sfida il campione italiano dei pesi massimi Tore Erittu. «Prima gli dò il tanto sul ring, e poi gli dò il resto fuori».

Gavino Salis (Caddarana). Sulla guancia aveva un neo grosso così, che sembrava uno scarafaggio. Per questo era noto come Gavino Caddarana. Non era uno stinco di santo e la sua fedina penale aveva collezionato 364 processi. Anni fa, una sua intervista, era stata pubblicata sulla Nuova: «Voglio andare in cella, non posso pagare le tasse». Aveva 62 anni, e di questi 31 li aveva trascorsi a San Sebastiano. Raccontano che in uno dei rari giorni da cittadino libero, un “amico” l’avesse affrontato così: «Caddarà, tu ormai non conti nulla». Lui ha afferrato la bottiglia di birra, e l’ha colpito in testa. «Vediamo se conto ancora: 1 (un colpo), 2 (un altro colpo), 3... Hai visto che conto ancora fino a 5?».

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